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Andrea Malaguti per "La Stampa"
L' hanno controllato tre volte. In meno di 24 ore. Senza contare le analisi di rito che si fanno alla maglia gialla e al vincitore di tappa dopo il traguardo. E lui, Chris Froome, sul Ventoux era entrambe le cose. Un dio sotto inchiesta. Se al Tour domini sei sospetto. Sempre. Che cosa gli hanno messo nei polmoni? Comunque, nell'albergo di Orange dove ha passato la notte, prima gli hanno bucato la vena per analizzare il suo sangue da signore della montagna.
Poi l'hanno pregato di riempire i campioncini per le urine. Due volte. Hanno sigillato i suoi liquidi da fenomeno - vero o presunto? Nessuno la capisce più, la verità - e li hanno portati via come si fa con la refurtiva appena ritrovata. Sei il nuovo re della fatica o il solito stregone della chimica? «Presto saprà », gli hanno detto prima di chiedergli l'autografo. Surreale.
Froome, keniano d'Inghilterra, magro e bianco come una candela, 185 cm per 66 chili, ha accettato questo sgradevole e giustamente inevitabile rituale, senza fiatare. E anche alla conferenza stampa organizzata in mattinata di fianco alla sala colazione, ha cercato di camuffare il disagio. Solo alla terza domanda consecutiva sul doping - «Neanche Armstrong andava così forte, come lo spieghi?» - sul viso scavato gli si è disegnata una smorfia tremenda, come se avesse perso per un istante il controllo dei muscoli facciali. «Paragonarmi a Lance non ha senso. Perché lui ha barato. Io no. à triste essere qui, dopo la vittoria più bella della mia carriera, e sentirmi dare del bugiardo e dell'imbroglione».
Il mondo terreno che ti si scaglia contro dopo averti visto accedere al Nirvana, al Reale Puro e senza filtri. Cento pedalate al minuto, 21 chilometri e mezzo all'ora, un dislivello di 1800 metri divorato con la stessa semplicità con cui Bolt si prenderebbe i cento metri. Già . Bolt o Gay? Quando succede che tutto diventa facile? E come?
Il suo rivale più importante, lo spagnolo Alberto Contador (due Tour vinti e uno revocato per doping), spiega che lui alle vittorie di Froome crede ciecamente. Giura che sono pulite. «Chris è fortissimo». Ma non sono tanti a pensarla così. L'ex tecnico della Festina, Antoine Vayer, ha calcolato che la maglia gialla sul Ventoux ha sviluppato una potenza di 446 watt. La stessa di Armstrong e Ullrich nel 2003. «Una performance quasi disumana». L'oligarca russo Oleg Tinkov, una specie di Abramovich delle due ruote, è stato più duro. «Froome domina come Armstrong. Poi però Armstrong l'ho visto piangere da Oprah. Non dico che Chris si dopi ma fatico a credere alle favole». Dubbi, calunnie, ipotesi.
Froome si è limitato ad alzare le spalle, mentre Contador chiariva a una selva di giornalisti che avrebbe risposto a due domande sul doping, ma che alla terza avrebbe girato le spalle. Il più nervoso di tutti, però, era il manager di Sky, il santone britannico Dave Brailsford: «Non posso accettare che il successo del Mont Ventoux dopo cinque minuti di gioia si sia trasformato in un processo sul doping».
Gli hanno detto: «Ok, Dave, allora perché non ci fai vedere i dati del computer installato sulla bici di Chris?». Il famoso Srm, una scatola di 70 grammi che visualizza e registra in tempo reale ogni parametro fisiologico dell'atleta. «Solo perché nessuno li capisce. Ma potrebbe essere una buona idea girare tutti i dati alla Wada». Potrebbe. Neanche una domanda sulla corsa. Sull'Alpe d'Huez. Su Parigi. Sull'uomo più forte di tutto. Sul keniano d'Inghilterra che rimpicciolisce le montagne come faceva Armstrong. O Pantani. O magari davvero solo a modo suo.
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