DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Ora lo so, il Var è una disgrazia. Un incubo. E’ come addormentarsi Casanova e svegliarsi Torquemada. Ero uno dei tanti imbecilli che auspicavano la moviola in campo. L’assillo della verità. Aiutiamo il peccabile meschino che dispone solo dei suoi occhi e delle sue eventuali corna a peccare di meno. Un abbaglio gigantesco! Che non sai nemmeno come declinare. Al femminile, la Var è il rumore del pettegolezzo, al maschile il torvo assedio dell’ennesimo Grande Fratello contemporaneo.
Addetti e addicted ai lavori non vedono. Miopi per eccesso di prossimità. Favorevoli o contrari, si scannano su futili motivi. L’Occhio del Ciclope che distribuisce vantaggi e svantaggi, oggi la Lazio, domani la Juve, il Napoli o la Roma. Le interruzioni, i tempi morti, l’incombenza del dubbio. Il non sapere mai se sei autorizzato a gioire o soffrire. Dettagli. Amenità. La disgrazia vera è un’altra. Quelli che la partita la vivono in campo, allenatori e giocatori, lo sanno bene, ma non lo sanno dire. Avvertono a pelle un oscuro malessere. Si limitano a bestemmiare il Var in privato, a diffidarne in pubblico.
E’ arrivato il momento di dire quello che deve essere detto e, non fatevi illusioni, non state per leggere le seghe mentali che si fanno in questi casi, quando il cognome le autorizza. La disgrazia è autentica. Il pasticciaccio brutto è che non si può più nemmeno tornare indietro. Definitivo. La verità è una spada, non arretra. Aveva ragione Michel Platinì a battersi contro la moviola in campo. Mi chiedevo: come può un uomo intelligente come Platinì sostenere una causa così ridicola? Ebbene, non era mai stato così intelligente, monsieur Platinì.
Il Var ha disintegrato l’unità di spazio e di tempo dell’evento. Il calcio prima del Var somigliava alla vita. Accadeva. Fluiva tumultuoso e bastardo. Un happening di novanta minuti governato dal talento ma anche dal caso, dove tutto succedeva e il contrario di tutto. Un romanzo dal finale sempre aperto, farcito di cose, brividi, noia, momenti sublimi, cazzate madornali, momenti esemplari e feroci ingiustizie. Ma, da che il sipario si apriva, questo era sicuro, nessuno poteva metterci il becco, nessuno poteva interferire. Solo eventi soprannaturali. Un invasione di campo, un alluvione, uno sbarco da Marte.
Il Var ha ucciso tutto questo. Lo ha strangolato. Il trionfo del qui e ora sostituito dal trionfo del qui e altrove, dell’ora e del poi. Te ne stai viziosetto sotto le coperte in apnea a sgranare il tuo sogno a occhi aperti come fosse un rosario e arriva la saccentella che, ogni quarto d’ora, con la scusa di dare aria alla stanza, ti spiega come stanno veramente le cose. Brecht prende il posto di Eschilo. Coitus interruptus, così si chiama. Il coito è un’allucinazione che va protetta. Così, la partita. Il Var party non è meno tossico di un rave party, ma molto meno divertente. Puoi godere solo se lo decide qualcuno dall’alto. Cambia anche l’odore del calcio. Adesso ha l’odore stantio di certe tonache.
La verità trionfa sempre, dicono i dementi e i fanatici.
La vita trionfa, dico io, a patto che non si persegua la verità. L’ambizione nevrotica, illudendosi di curare il male, diventa il male stesso. La verità è solo una, quello che accade, nel bene e nel male. Con tutte le sue impurità e il suo ridicolo ma sovrano fischietto, l’omino peccabile di un tempo se ne stava dentro la fragile ma avvincente pièce del calcio non avendo altra ambizione, a patto di non essere un assoluto cretino, che quella di simulare una parvenza di giustizia. Nella sua capacità di essere saggio, flessibile e fortunato. La vita, appunto. Oggi sta lì, tremulo manichino, a confessare la sua pochezza. La sua progressiva inutilità. Lo hanno espropriato dello sguardo. Di tutto.
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