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Mattia Chiusano per “la Repubblica”
La più vincente di sempre si esibisce per l’ultima volta. Nove medaglie olimpiche di cui sei d’oro, sedici titoli mondiali, tredici europei, undici Coppe del mondo. Prima al mondo a vincere tre ori individuali consecutivi in tre diverse Olimpiadi.
Più o meno, quel che è stato Schumacher per la F1. Valentina Vezzali è a Rio de Janeiro, dove voleva arrivare per i Giochi. Si deve accontentare dei Mondiali delle discipline non olimpiche, insieme alle compagne che le hanno soffiato il posto, Elisa Di Francisca e Arianna Errigo.
Tutte e tre unite, stasera, per vincere il titolo che a Londra è stato loro, ma dal programma di Rio è stato cancellato. Appena finita la gara, sui social apparirà l’addio della campionessa più titolata dello sport italiano. «Triste? Cerco di godermi questo momento, insieme a mio figlio Pietro e a mia nipote Sara, che in questi anni non mi ha mai seguito in trasferta e almeno questa volta doveva esserci ».
Pentita di non essersi ritirata dopo Londra, dove è stata portabandiera?
«Assolutamente no. Sentivo che non era ancora concluso il mio ciclo, che potevo farcela anche se le mie avversarie sono più giovani e più libere di testa. Senza pensieri».
Cosa intende?
«Che in questi anni la mia vita è stata molto piena, e per trovare il tempo per allenarmi tiravo all’alba, a tarda sera. Si sa, la famiglia, il secondo figlio, Andrea, poi l’impegno in Parlamento. Elisa e Arianna sono state più libere, ma ora è il loro momento. E continueranno a vincere, il fioretto italiano non si ferma mica con me».
Cosa pensa di aver lasciato, oltre a tutti i successi?
«Le vittorie intanto, non contano come si può pensare. Le medaglie le tengo in una busta che sta chissà dove, l’oro di ceramica di Lipsia andò in mille pezzi, una medaglia delle Universiadi l’ho persa in un taxi».
VALENTINA VEZZALI A LONDRA jpeg
Quindi c’è dell’altro.
«La voglia di dimostrare che tutto era possibile. Anche quella volta a Lipsia, appunto, quando vinsi il mondiale quattro mesi dopo la nascita di Pietro. Ve lo ricordate il trattamento che veniva riservato alle sportive che restavano incinte? Spesso venivano fatte fuori dalle federazioni, perdevano il contratto nei club».
E ora?
«Oggi quante donne sanno che possono scegliere di avere un figlio, e garantire al coach, al presidente, che torneranno competitive come ho fatto io? Questo per me conta più di tante medaglie».
Dove trovava tutta quella determinazione?
«Dalla mia fragilità, intanto. Questo io sono, fragile. Mi basta una parola di un estraneo per andare in crisi».
Non si direbbe.
«Da piccola, se non vincevo 5-0 mi mettevo a piangere. La stoccata subita la vivevo peggio di quanto mi godessi le cinque inflitte. Ma in tutti questi anni non sono mai andata da un psicologo. Mi bastava confrontarmi col maestro di una vita, Giulio Tomassini, che sa sempre cosa dirmi al momento giusto».
Valentina Vezzali SCHERMA jpeg
Eppure in certi momenti dava l’impressione di una sicurezza quasi “marziana”.
«A Londra, nella finale per il bronzo, ero sotto di 4 stoccate a 21 secondi dalla fine. Può sembrare strano, ma durante tutta la rimonta che mi ha portato a vincere mi sono sentita serena, in totale controllo di me stessa e del mio corpo. Col tempo, la maturità, la famiglia, ho imparato il giusto distacco».
VALENTINA VEZZALI E MARIO MONTI
«Ora c’è tanto da fare, vorrei mettere la mia esperienza al servizio dello sport. Ma anche della politica, perché quando vedo mio figlio e altri ragazzi fermi per ore davanti alla Nintendo mi sento male. Noi passavamo i pomeriggi in cortile. Mi sono battuta per inserire la figura dell’insegnante di Scienze Motorie nella Buona Scuola, ma bisogna fare di più, per il futuro e la salute dei nostri figli».
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Valentina Vezzali
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