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Giovanni Pons per “la Repubblica”
L’offerta pubblica di Urbano Cairo per Rcs Mediagroup ha l’effetto di un sasso lanciato nello stagno dell’ultimo salotto finanziario rimasto ancora in vita. E fa riemergere i mai sopiti rancori tra Mediobanca e Intesa Sanpaolo, sempre su sponde diverse della barricata fin dai tempi in cui la finanza italiana si divideva in laica e cattolica. Non vi è mistero che l’ultimo cda di Rcs fosse una creatura voluta da Alberto Nagel e Diego Della Valle dopo il fallimento della cura di Pietro Scott Jovane.
Sono loro ad aver indicato i nomi del presidente Maurizio Costa e del nuovo amministratore delegato Laura Cioli, mentre John Elkann si era progressivamente distaccato per poi prendere la decisione di uscire completamente dall’azionariato portando La Stampa nell’alveo del gruppo Espresso. Senza un azionista dominante ma solo con un nocciolo di imprenditori e banchieri che raccolgono meno del 23% e non hanno l’editoria nel loro core business, Rcs si trova dall’inizio di quest’anno esposta ai quattro venti.
MAURIZIO COSTA LAURA CIOLI RICCARDO TARANTO
Il più preoccupato era Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, che ha il Corriere della Sera nei suoi pensieri principali fin dai tempi del salvataggio del Banco Ambrosiano. Bazoli ha cercato di trovare un cavaliere bianco di levatura che potesse rimpiazzare il vuoto lasciato dalla famiglia Agnelli, ma nessuno ha avuto il coraggio di farsi avanti.
E anche Della Valle, quando Cairo tra febbraio e marzo lo ha incontrato per proporre un’iniziativa congiunta, sebbene non chiara nei contorni come l’Ops di questi giorni, ha preferito prendere tempo confidando nel piano di risanamento che Costa e Cioli stanno faticosamente portando avanti. Della Valle e Cairo si sono rivisti nel week end, a offerta lanciata, forse per ragionare sul prezzo considerato troppo basso dal nocciolo del 23% e per rinfacciare all’editore alessandrino una voglia di fare tutto da sè, senza una squadra forte.
Senza cavalieri bianchi all’orizzonte, con il timore che a un certo punto spuntasse un editore temuto come Francesco Gaetano Caltagirone, già proprietario di Messaggero, Il Mattino e de Il Gazzettino, anche a Bazoli è sembrato il male minore assecondare il piano del suo amministratore delegato Carlo Messina, che ha lanciato Cairo sul terreno dell’Ops.
D’altronde il momento era propizio poichè le azioni della Cairo Communication sono ottimamente valutate mentre quelle Rcs risentono della ristrutturazione in corso e della minaccia di un nuovo aumento di capitale.
Inoltre Messina può tirare dalla parte di Cairo anche gli altri banchieri creditori, come Victor Massiah dell’Ubi che ieri ha aperto alle discussioni con l’offerente. E nello stesso tempo si fa capire a Nagel che Intesa non gradisce l’esclusione dai giochi Rcs, almeno finchè tutti sono ancora azionisti sebbene abbiano annunciato di voler uscire. Dalle sponde di piazzetta Cuccia si giudica invece scandaloso che Intesa abbia giocato su due tavoli, da una parte bloccando il negoziato sul debito e dall’altra affiancando Cairo con Banca Imi.
Con il nocciolo del 23% coalizzato nel non consegnare le azioni all’Ops ora Cairo e Intesa dovranno puntare su quel 65% di investitori istituzionali che hanno azioni Rcs in mano e vogliono farle rendere. Un ritocco alll’insù del prezzo è nell’ordine delle cose e con Cairo molti gestori vedono una ristrutturazione più incisiva di quella in corso senza dover metter mano al borsellino. L’ultima carta che Mediobanca può giocare è l’appello a Vincent Bolloré, suo azionista forte, perchè scenda nell’arena della stampa italiana con la Vivendi fresca di alleanza berlusconiana. Ma il finanzere bretone è troppo furbo, dicono a Parigi, per buttarsi in una contesa del genere.
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