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Introduzione di Roberto D'Agostino a “Wine not? - Racconti di enofanatismo” di Cristiana Lauro per Pendragon
La vita è troppo breve per bere vini mediocri
Johann Wolfgang von Goethe
Il tempo si beve la vita, la storia si beve se stessa, e l'uomo trinca quello che resta, e tutto finisce e poi ricomincia, eccetera eccetera. Allora, perché ci attacchiamo alla bottiglia? Si chiede un palato smanioso, un intestino goloso, un fegato ansioso. Beviamo (e mangiamo) per motivi culturalmente, umanamente più complessi.
Il vino è un conforto, un calmante, un linguaggio. Ci serve per volerci bene (qualche volta per volerci male, quando esageriamo) e per farci volere bene dagli altri: quando li invitiamo a stappare una nuova bottiglia. Il bere insieme, in buona compagnia - l'agape, dicevano i greci -, fa sì che tutto ciò sia sapido, ilare, festoso, invadente, estroso. Il bronzo è lo specchio del volto, il vino quello della mente.
Eschilo (525 a.C. - 456 a.C.)
Non solo. Un bicchiere di vino rimane sempre il modo più facile di dire «mi amo». E chissà quante delusioni avrà riscattato, chissà quante lacrime avrà asciugato quella bottiglia.
Massì, ogni tanto, bisognerebbe accantonare i problemi minori (l'Italia a pezzi, la globalizzazione dei mercati, la crisi economica e la corruzione politica), sedersi a tavola e porsi, finalmente, le sole domande davvero fondamentali: perché bere un bicchiere di vino, l'atto apparentemente più banale e più ovvio che uno possa immaginare, oggi, in Occidente è divenuto un problema che trasforma la scelta di una bottiglia in un'ansia che toglie la gioia del gusto. Insomma, una gran "rottura di coglioni”.
Non lo dico io ma lo scrive con stile icastico Cristiana Lauro nel libro che avete in mano: se il vino è cultura, l'unità di misura deve essere la rottura di coglioni. Esami visivi acrobatici che fanno il trapezio, ad aggravare la scelta che potrebbe sembrare banale fra tre colori: bianco, rosso e rosato.
Descrittori ermetici in salsa barocca, abbinamenti rigorosi e inflessibili, l'ermeneutica nel bicchiere e tutto ciò che può far passare la fantasia di aprire una bottiglia solo per il sano piacere di bere qualche sorso in allegrezza con gli amici dopo una giornata di lavoro”.
Ecco: non è solo un viaggio sapiente tra Montalcino e Borgogna, Champagne e Amarone, quello che avete davanti agli occhi è un “cretinario" ripieno di delizioso veleno, riuscendo sempre a trasformare il rapporto io, i maschietti e il vino in pagine irresistibilmente comiche, cioè ancor più comiche del fatto in sé, grazie a una verve di scrittura che ha al suo vertice gli sketch della divina Franca Valeri.
Sempre con lo stesso livello altissimo, cioè bassissimo.
Pagina 53: "Secondo recenti studi, di cui non sono in grado di fornire la fonte - ma se ricordassi il nome dell'autore andrei ad attenderlo sotto casa - le donne assumerebbero alcol per…disinibirsi, per concedere le proprie grazie con disinvoltura, per fare sesso senza pensare alle bomboniere, per darla a cani e porci a fondo perduto. Insomma le donne bevono a scòpo di scopo...". Così tanto per fare un esempio.
Perché il bello della satira, quando è satira, è riuscire a dire le cose più turpi e feroci con una levità che le rende soffici come una piuma. La nostra scrivente alcolizzata riesce a rendere la porno-mania dell'alcol con la stessa leggerezza che usa il bambino quando dice cacca.
Ciò che resta è un concentrato di amenità, risate buffe, risate tristi, situazioni e personaggi affogati nel vino sbagliato. E sopra ogni cosa l'incantevole Cristiana Lauro (è ricca di curve peccaminose) sbertuccia i nostri vizi e vezzi mediatici, presi a craniate con lo strumento più contundente: la parola che bluffa, che si rigira su stessa.
Far ridere, straniare e riflettere nella stessa singola pagina, con una combinazione di idee folgoranti e istantanee della nostra vita, di luoghi comuni e del loro rovesciamento, creando un mondo e una lingua finora del tutto assente dall'universo degli enofanatici e dei gastrofolli.
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