Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it
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«Il calcio mettetelo un po’ da parte, non c’è Lukaku che tenga» questo l’invito (f)urbi et orbi dei Fantastici 4 per 100, gli autori di «it’s a miracle... and basta», i quali invocano giustamente l’attenzione del Paese. Di sfuggita, non per polemizzare, recupero la battuta schietta e definitiva di Gianmarco Tamberi quando ancora pazziava di gioia per l’oro nell’alto: «La voglia di vincere me l’ha trasmessa anche l’Italia dell’Europeo. È un anno buono». Sincero, Gimbo: sempre che non l’abbia detto per sostenere la Campagna Marche del corregionale Mancini.
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Romelu Lukaku al Chelsea, mica una di quelle reboanti voci del mercato estivo, una desolante realtà che trova spazio ogni giorno, tra una medaglia e l’altra. L’attaccante (altrui, ormai) si è fatto largo a spallate anche durante la premiazione degli Eroi: ieri pomeriggio l’Inter ha infatti accettato i 115 milioni di Abramovic, completando un’operazione che sposta i valori tecnici del prossimo campionato.
Un soggettone, il belga: per un paio di anni ho creduto nella sua completa adesione alla causa interista, essendosi legato anima, corpo - e portafoglio - a Conte. Almeno così mi era sembrato. Di recente, però, sono venuto a sapere che già l’estate scorsa, dopo la prima stagione a Milano, aveva provato a tornare in Premier mettendosi d’accordo con il Manchester City: l’affare subì uno stop improvviso nel momento in cui Messi si ritrovò per qualche giorno senza il contratto, né la voglia di restare a Barcellona, e Guardiola si mosse nella direzione dell’ex pupillo. La cosa giunse all’ orecchio di Lukaku che, offeso, si tirò indietro.
GAZZETTA SU LUKAKU
Di fronte ai milioni, non c’è gratitudine che tenga. Per cui metto subito da parte Lukaku e torno alla chiusura delle Olimpiadi più complicate, sul piano non solo organizzativo, del dopoguerra. Le Olimpiadi rinviate per covid, quelle senza il pubblico negli impianti e dentro un Giappone che non le voleva più poiché terrorizzato da ombre e varianti. Le Olimpiadi delle premiazioni con le mascherine che lasciavano soltanto intuire la partecipazione canora dei campioni all’inno nazionale. Prima di tutto le Olimpiadi dell’Italia stravincente. I successi della spedizione azzurra hanno cancellato le diffidenze della vigilia e coperto i tantissimi vuoti. A Tokyo 2020 lo sport è stato l’unico protagonista del kolossal delle emozioni: ha ottenuto una centralità mai avuta in passato. Le telecamere delle televisioni di tutto il mondo si sono soffermate solo occasionalmente sulla cornice, poiché il capolavoro dello sforzo atletico, magicamente nudo e essenziale, non la prevedeva.
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Sono perciò curioso di verificare quali effetti produrranno Giochi così inattesi e sconvolgenti, ricchi di immagini impagabili, sui nostri giovani e quale spinta daranno alle federazioni che hanno il compito di incoraggiarli a praticare attività d’ogni genere.
L’aspetto più piacevole e significativo degli ultimi due mesi – calcio più Olimpiadi – resta tuttavia l’affermazione dei sentimenti positivi. Rare sono state le polemiche, numerosissimi gli accenti di grande umanità. Due mesi indimenticabili nei quali il reale, l’azione, ha prevalso sul virtuale, il campo, la palestra, la piscina e le corsie sulla rete: siamo riusciti a guardare più a fondo dentro gli ambienti e i personaggi che venivano via via raccontati.
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Tra meno di due settimane il calcio tornerà a scandire le nostre giornate. Ronaldo, Lautaro, Mourinho, Allegri, Sarri e Insigne sostituiranno Jacobs, Tortu, Palmisano, Busà, Tamberi, Stano, Ganna, Rizza. Non ci sarà Lukaku, né Hakimi. A chi non ama il buonismo prodotto dai Giochi basterà porre orecchio ai lamenti e alle naturali e comprensibili imprecazioni degli interisti. E sarà il trionfo del cattivismo.
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