Alessandro Vinci per il corriere.it
Alexis con i genitori e il fratello
Tutt’a un tratto la piccola Alexis aveva iniziato a non essere più la stessa. «Stava diventando depressa, arrabbiata, ritirata», ricordano i genitori Kathleen e Jeff Spence. I quali da Long Island, nello Stato di New York, ora chiedono giustizia a Meta, il colosso dei social network di proprietà di Mark Zuckerberg.
Vani erano stati infatti i primi tentativi della coppia di capire cosa non andasse nella figlia. Poi tutto si era fatto più chiaro: malgrado avesse appena 11 anni, aveva aperto di nascosto un profilo su Instagram. Peccato però che l’età minima richiesta dal servizio fosse (e continui a essere) di 13.
Risultato: lo sviluppo, da parte della giovanissima utente, di una forte dipendenza digitale che in breve tempo era arrivata a causarle sintomi come «ansia, depressione, autolesionismo, disturbi alimentari e, alla fine, anche idee suicide».
instagram adolescenti
La svolta dopo i Facebook Papers
Sono le parole riportate nella causa per lesioni personali che i coniugi hanno deciso di intentare contro Menlo Park, depositata lunedì presso un tribunale distrettuale della California. Perché mentre in un primo momento i due avevano affrontato la vicenda con sostanziale impotenza, l’anno scorso le rivelazioni della whistleblower Frances Haugen – i cosiddetti Facebook Papers – li hanno convinti che quanto accaduto ad Alexis sia stato frutto non solo dell’incapacità di Meta di verificare la reale età degli iscritti, ma anche della negligenza con cui la società ha affrontato negli anni il problema (peraltro arcinoto) dell’assuefazione causata dalle sue piattaforme. Il che potrebbe configurare gli estremi per una responsabilità diretta perseguibile dalla giustizia Usa, e magari non solo.
«Nostra figlia stava scomparendo»
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In attesa di scoprire se il caso farà giurisprudenza, Kathleen e Jeff hanno raccontato alla Abc: «Il fatto che Alexis (oggi 19enne, ndr) sia ancora qui è davvero un miracolo perché abbiamo combattuto con le unghie e i denti per lei. Abbiamo fatto tutto il possibile, le abbiamo fornito l’aiuto di cui aveva bisogno e ci sono stati momenti in cui eravamo molto preoccupati per la sua incolumità». Brutti ricordi che non si cancellano: «Non sapevamo cosa stesse succedendo – hanno proseguito –. Sappiamo solo che nostra figlia stava scomparendo. Lentamente, pezzo dopo pezzo, stavamo perdendo la bambina amorevole e sicura di sé che conoscevamo».
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Acqua passata, fortunatamente. Ma il problema resta attuale, anche alle nostre latitudini: secondo l’ultimo rapporto Eures, per esempio, oltre quattro giovani italiani su cinque sono a rischio dipendenza da smartphone. Non bastasse, con l’arrivo del Metaverso c’è chi teme che la situazione possa peggiorare ulteriormente.
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