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Estratto dell'articolo di Giuliano Aluffi per “Il Venerdì”
Fuggire a dei coloratissimi fantasmini in un labirinto, affrontare a colpi di cannone laser dei massicci asteroidi che arrivano da ogni direzione, vestire i panni di un rotondetto idraulico baffuto che scavalca barili lanciati da un gorilla per salvare la fidanzata: le storie dei videogiochi sono innumerevoli, e la storia dei videogiochi, che è una sola ma caleidoscopica, le comprende tutte mischiandole con il guazzabuglio di idee, emozioni e aneddoti delle persone che hanno reso possibile tutto questo.
La ripercorre un libro illustrato, La storia dei videogame in 64 oggetti (HarperCollins), opera di Jon-Paul Dyson e Jeremy Saucier, curatori della World Video Game Hall of Fame. Questa collezione permanente, istituita allo Strong National Museum of Play di Rochester, conta oggi oltre 60.000 giochi e centinaia di migliaia di materiali d'archivio che documentano l'evoluzione dei giochi elettronici nell'ultimo mezzo secolo.
A partire dall'antesignano: il flipper Humpty Dumpty di Gottlieb, prima macchina dotata di palette elettromeccaniche, che apparve nei peggiori bar di quartiere nel 1947. «In realtà i primi flipper risalgono al 1931: assomigliavano all'antico gioco di società "Bagatelle", già in voga in Francia nel 1700, dove bisognava spingere delle biglie dentro delle buche incavate in un piano di legno evitando dei chiodi posti a mo' di ostacolo» spiega Jon-Paul Dyson.
«La rivoluzione di "Humpty Dumpty" sono le palette, che introducono un minimo requisito di abilità in un gioco dove la forte componente casuale evocava lo stigma sociale del gioco d'azzardo». Proprio così: l'allarme morale nasce insieme alle sale giochi, non è spuntato fuori negli ultimi vent' anni [...]
«Uno dei videogiochi che creò più polemiche fu, nel 1976, Death Race» spiega Jon-Paul Dyson. «Si trattava di un gioco di guida molto particolare, ispirato a un film grottesco del 1975 Anno 2000 - la corsa della morte. Nel film gli Stati Uniti erano diventati un regime totalitario che, per blandire il popolo con dei "circenses", organizzava una gara automobilistica in cui per fare punti bisogna investire i pedoni».
E infatti nel videogioco si controllava un'automobilina che scorrazzava sullo schermo tentando di arrotare figurine antropomorfe che - con una certa ipocrisia - erano definite "gremlin".
ERA SCIENZA, BELLEZZA
E pensare che i primi videogiochi elettronici erano nati in un ambiente serissimo, quello dei laboratori del progetto Manhattan. «Siamo nel 1958, in piena Guerra Fredda, e al Brookhaven National Lab [...]viene mostrato un gioco realizzato dal fisico nucleare William Higinbotham ritoccando un oscilloscopio a tubo catodico: si tratta di Tennis for Two» spiega Jon-Paul Dyson.
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Raccoglierà l'eredità di quell'idea seminale il gioco Pong. E nel passaggio tra i giochi nati in laboratorio sui primi, costosissimi computer, come Tennis for Two, elitari perché accessibili solo a pochi scienziati e invece il grande successo popolare di Pong, risulterà cruciale Nolan Bushnell, il fondatore di Atari.
GUERRE SPAZIALI
Bushnell nel 1964, da studente dell'University of Utah, era rimasto affascinato da Spacewar!, gioco realizzato da ingegneri del MIT in cui due astronavi battagliavano nello spazio a colpi di laser. «Quel gioco richiedeva un computer PDP-1 da 120 mila dollari di allora (l'equivalente odierno di un milione). Impensabile, nel 1964, fare una versione da sala giochi di Spacewar!
Ma nel 1968 a Bushnell venne un'idea: realizzare una scheda elettronica che permetteva di sfruttare, per spostare oggetti su uno schermo, i segnali analogici usati per la sincronia del televisore. Funzionò: nel 1971 Bushnell varava Computer space: gioco dove si controllava un razzo che sparava a dei dischi volanti cercando di evitarli».
Non fu un grande successo nelle sale giochi, ma assicurò a Bushnell abbastanza soldi da fondare, insieme all'amico Ted Dabney, Atari. E lanciare nel 1972 il rivoluzionario Pong. «Un gioco di una semplicità quasi zen: le laconiche istruzioni del gioco dicevano "Per un alto punteggio, non mancare la palla"» spiega Jeremy Saucier. «Pong andò fortissimo nei bar e trasformò i videogiochi in un nuovo passatempo. Anzi, di più: in un nuovo lubrificante sociale che univa appassionati di ogni estrazione sociale».
CHE PIZZA!
I videogiochi entravano, insomma, a pieno titolo nella società. Ciò che ancora mancava perché entrassero davvero nella cultura pop erano delle icone, dei personaggi simbolo, delle storie. «Il primo personaggio realmente riconoscibile a livello globale è Pac-Man» spiega Jeremy Saucier. «L'idea nasce nel 1978, quando il giovane game designer Toru Iwatani, consumata la prima fetta di una pizza, pensò che la parte restante somigliasse a una testa con la bocca aperta.
"Perché non progettare un gioco basato sul mangiare?" si chiese Iwatani. E per il nome, Iwatani si ispirò alla parola "Pakku", usata per descrivere il suono che fa una bocca quando si apre e chiude». L'importanza di Pac-Man è nell'essere il primo gioco che, facendo leva sull'estetica del "carino", può essere apprezzato sia dai ragazzi che dalle ragazze: con Pac-Man il videogioco trascendeva gli ambienti maschilisti, e in certi casi malfamati, delle sale giochi.
A questa sorta di sdoganamento contribuirà anche il crescente successo delle console domestiche: dall'Atari 2600, all'Intellivision di Mattel, e poi ai sistemi videoludici di Nintendo, Sega e Sony, che con la Playstation dal 1994 in avanti entrerà in un numero ragguardevole di soggiorni in tutto il globo. «Questo non vuol dire che l'industria dei videogiochi non abbia sofferto di spettacolari fallimenti: uno di questi è stato il Virtual Boy di Nintendo, commercializzato nel 1995» spiega Jon-Paul Dyson.
OCCHIO AI FLOP
«L'idea era molto avanzata: un dispositivo che invece di mostrare le immagini su uno schermo, le proiettava tramite dei Led sulla retina del giocatore, creando un'impressione di 3D. Ma nel libretto si ricordava di riposare gli occhi ogni 15 minuti. L'idea che queste misure suscitarono nel pubblico è che il gioco potesse danneggiare gli occhi. E così fu un flop».
Ma la ricerca di comandi innovativi per videogiocare produsse una miriade di meraviglie ludiche: dal comando con giroscopio della Nintendo Wii, che permetteva di controllare i personaggi sul video muovendo braccia e gambe, al gradevolissimo design del "cruscotto da locomotiva" con cui si poteva giocare - su PC e Playstation - negli anni 90, al simulatore di treni Densha de Go!.
E nel terzo millennio proprio i giochi che permettevano di ricostruire in piccolo il mondo reale o di inventare nuovi mondi - da Sim City, che rese spassosa la pianificazione urbanistica, a quel Minecraft [...]
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