DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
1. “IL SEGRETO DEI MIEI MUSEI? ATTRARRE E NON INTIMIDIRE”
Paolo Mastrolilli per “la Stampa”
Renzo Piano lo definisce «un edificio disubbidiente», e in questa frase c’è tutta la filosofia del nuovo Whitney Museum che ha progettato, e che aprirà al Meatpacking District di Manhattan il 1° maggio. Disubbidiente come l’America, e perciò libero, aperto alla città, fuso con l’ambiente urbano circostante, «perché i musei non devono intimidire, ma piuttosto avvicinare la gente e incuriosirla all’arte».
Incontro Piano nel caffè all’ingresso del museo, che è tutto un programma: i tavolini sono separati dal marciapiede esterno da una vetrata, ché se uno non fa attenzione ci va a sbattere contro. Infatti la gente che passa si affaccia, riconosce l’architetto famoso, e si ferma a scattare foto.
«La città passa dentro all’edificio, anche non volendo, e così magari entra, scoprendo la bellezza dell’arte». Questa è l’idea da cui è partito Piano: «I musei non devono intimidire la gente, ma attirarla. E’ un po’ il concetto che avevo cercato di realizzare anche al Beaubourg».
L’acqua punto di forza
Il punto di partenza è stata l’acqua: «Io sono cresciuto a Genova, l’acqua per me è un elemento fondamentale. Quando non c’è, me la vado a cercare, perché rende tutte le cose più belle».
In questo caso non si è dovuto sforzare troppo, perché il lato occidentale del nuovo Whiteny si affaccia proprio sull’Hudson River: «Quando ho saputo che volevano trasferirlo in questa zona ho accettato subito l’incarico, perché mi offriva la possibilità di lavorare in un ambiente ideale». Ideale perché «mi consentiva insieme di flirtare con la città, e giocare con l’acqua».
La spiegazione topografica
A questo punto serve una spiegazione topografica. Il nuovo Whitney ha abbandonato la sede disegnata da Marcel Breuer sulla Madison Avenue, Uptown, per tornare alla sue origini Dowtown.
Ha individuato lo spazio fra l’Highline, ossia il parco realizzato sopra una linea abbandonata della metropolitana, che è diventato la più grande attrazione turistica di New York degli ultimi anni, e l’autostrada che corre lungo l’Hudson: «E’ uno spazio irregolare, che richiedeva una soluzione complessa».
Un invito a sfogare la sua creatività: «La parte orientale dell’edificio guarda verso la città, e flirta con l’ambiente urbano circostante. Quella settentrionale doveva essere flessibile, perché potenzialmente qui c’è lo spazio per futuri ampliamenti della struttura. Quella meridionale ha davanti il sole, e andava protetta.
Quella occidentale invece guarda verso il West, il fiume, lo spazio, il resto del mondo, e quindi doveva essere aperta. Un po’ come la cultura americana, che poi è al centro dell’arte esposta al Whitney: libera, innovativa, a volte anche disubbidiente».
Arte e turismo
Il risultato è un edificio che promette di diventare una destinazione turistica in sé, oltre alla collezione di opere che ospita. Perché la gente ci arriva dentro anche per caso, passeggiando sul marciapiede, e poi si arrampica sui piani che ospitano saloni e terrazzi con viste sorprendenti sulla città: «Sì, esiste il rischio che le persone vengano qui solo per ammirare la vista.
Però dicevano così anche del Beaubourg, e alla fine è stato vero il contrario. Magari la struttura attirerà i visitatori, ma una volta dentro scopriranno l’arte, che è la ragione della sua esistenza. Questi sono gli edifici che mi interessa fare: quelli che non si impossessano della città, ma la sollevano».
2. IL WHITNEY DI RENZO PIANO NEL NUOVO DISTRETTO DELL’ARTE
Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
Una specie di gigantesca nave asimmetrica con la prua puntata verso Manhattan: è il nuovo Whitney, il museo d’arte moderna americana realizzato dall’architetto Renzo Piano, presentato ieri alla stampa mondiale a pochi giorni dall’inaugurazione, il 1° maggio. Spazi enormi e molto flessibili: i curatori possono cambiare gli allestimenti quanto vogliono perché nell’edificio, costato 422 milioni di dollari, non ci sono colonne di sostegno.
Una cura straordinaria per le luci, gli spazi aperti al rapporto con la città e la possibilità di esporre in modo nuovo una quantità molto maggiore di opere realizzate negli ultimi 125 anni, da Hopper alle Torri gemelle in fiamme l’11 settembre 2001.
L’esterno è stato criticato da alcuni perché massiccio, ma l’aspetto da impianto industriale del museo non stride con l’architettura di un quartiere, l’ex «meatpacking district» di Chelsea, zeppo di reperti industriali trasformati in nuovi pezzi di città: dal biscottificio Nabisco diventato Chelsea Market all’High Line, la ferrovia sopraelevata divenuta una passeggiata nel verde che finisce proprio nella nuova «gallery», la sua ancora culturale.
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Il Whitney (fin qui basato nell’Upper East Side) è il primo dei quattro grandi musei di New York a trasferirsi nel nuovo distretto giovane dell’arte, della cultura e delle «start up» tecnologiche. Primo anche a trasformarsi completamente, mentre gli altri tre — Metropolitan, Moma e Guggenheim — vivono anch’essi una stagione di rinnovamento ed espansione. A New York anche la cultura è competizione.
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