AZIENDE CHIAGNI E FOTTI - IL GOVERNO DI RIGOR MONTIS CONTINUA A FARE REGALI A IMPRESE E BANCHE, CHE QUEST’ANNO NON SOLO NON HANNO PERSO NIENTE, MA ANZI HANNO AUMENTATO GLI UTILI - TOLTE TELECOM E UNICREDIT, IMPEGNATE NELLA PULIZIA DEI BILANCI, GLI ALTRI GRANDI TITOLI IN BORSA SONO CRESCIUTI NEL 2010 - E INTANTO LE FAMIGLIE RESTANO IN MUTANDE...

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Franco Bechis per "Libero"

Le parole più gettonate sono «crisi», «drammatica», «aiuto», «incentivi per lo sviluppo». Se uno mette insieme gli ultimi venti o trenta interventi del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ci crede davvero: le imprese italiane stanno boccheggiando, il governo deve dare una mano, togliere loro il peso del fisco altrimenti niente crescita e sviluppo.

Visto che la lagna è senza fine, va a finire pure che i governi ci credono, come è accaduto a Mario Monti con la sua manovrona in attesa di fiducia: giù botte a cittadini e consumatori, carezze e ciambelle di salvataggio per banche e imprese. È grazie a questa strategia che in Italia i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Perché a guardare i bilanci depositati dalle principali imprese e istituzioni finanziarie italiane, non sembra proprio che se la stiano passando così male. Anzi.

DIVIDENDI RICCHI
Libero ha riunito i dati finanziari relativi ai primi nove mesi del 2011 delle prime cento società per capitalizzazione quotate alla borsa di Milano. E ha scoperto una realtà che nessuno immaginerebbe leggendo le cronache spicciole giorno dopo giorno: al 30 settembre 2011 il 75% dei grandi gruppi quotati ha aumentato il fatturato rispetto al 30 settembre 2010. Il 61% ha addirittura aumentato gli utili: i loro azionisti riceveranno dunque più dividendi dell'anno passato. Il risultato consolidato dei primi 100 gruppi quotati indica un fatturato in crescita del 6,34%, passato da 552 a 587 miliardi di euro.

Tutti insieme hanno raggiunto un utile netto di 15,4 miliardi, che è inferiore del 43,83% ai 27,4 miliardi fatti registrare a fine settembre 2010. Sul dato però pesano parecchio due maxi operazioni di pulizia di bilanci, attraverso svalutazione di partecipazioni e avvia- mento, compiute da Telecom Italia e da Unicredit. La prima è passata da un utile di 1,9 miliardi di euro a una perdita di 871 milioni di euro. La seconda è passata da un utile di poco superiore al miliardo di euro a una perdita di 9,3 miliardi di euro. Se dai primi 100 gruppi della Borsa italiana si tolgono Telecom Italia e Unicredit anche l'utile consolidato 2011 si inverte: sale a 25,6 miliardi di euro contro i 24,5 miliardi di euro dell'anno precedente (+4,34%).

Tenere fuori Telecom e Unicredit ha un senso logico, perché entrambe le società indicano nei dati sui primi nove mesi che senza le operazioni di pulizia straordinaria di bilancio gli utili operativi sarebbero saliti quest'anno. Per Unicredit il risultato netto di gestione è in utile di 2,9 miliardi di euro, con un aumento di 58 milioni di euro (+2%) rispetto all'anno precedente. Telecom Italia segnala invece che senza una svalutazione dell'avviamento di 3,2 miliardi di euro «l'utile del periodo sarebbe di circa 2 miliardi di euro, in crescita dell'8,6% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente».


Che cosa significano questi dati? Una cosa molto semplice: che le imprese italiane sono più ricche e guadagnano oggi meglio di un anno fa, tanto da avere colto il momento perfino per quelle grandi pulizie che tolgono rischi dai bilanci e diventano benzina per gli anni futuri. Quindi le top 100 di Borsa italiana tecnicamente non sono affatto in crisi, anzi: sono in crescita. Questo naturalmente vale per i grandi gruppi, che avrebbero una capacità contributiva in grado di dare una mano al Paese assai più di altri soggetti.

Non sono fra le prime cento quotate naturalmente le piccole imprese che costituiscono l'ossatura del sistema economico italiano, e che ogni giorno debbono sfangarsela da sole, spesso trovando muri invalicabili allo sportello bancario, quando hanno bisogno di finanziamenti.

PRIVILEGIATI E NO
Naturalmente fra le 100 grandi quotate ci sono differenze sensibili. Vanno meglio i conti delle imprese manifatturiere e in genere dei titoli industriali: l'84% di loro ha aumentato nell'ultimo anno il fatturato e il 68% di loro è riuscita anche a guadagnare più di prima. Meno bene invece i conti di banche, assicurazioni e società di gestione del risparmio quotate: per la maggioranza di loro il 2011 è stato peggiore dell'anno precedente.

Non drammatico, perché comunque anche in questo segmento il 48% è riuscito ad aumentare il margine di intermediazione o i premi lordi gestiti e il 40% è riuscito a registra- re più utile dell'anno precedente. È nei loro conti però che si riflette la vera crisi che ha colpito l'Italia, e che è in gran parte finanziaria e internazionale. Sono banche e assicurazioni ad avere in portafoglio o fra le riserve matematiche titoli dei governi sovrani.

E la perdita o la contrazione dell'utile è dovuta in gran parte alla svalutazione obbligata (-50%) dei titoli di Stato greci in portafoglio e alle minusvalenze fatte registrare anche su titoli di Stato portoghesi, irlandesi e soprattutto italiani che avevano in grande quantità.
Altre ferite vengono dal portafoglio azionario che ha perso gran parte del suo valore per la caduta dei mercati.

Depurati da queste minusvalenze (che ancora non sono drammatiche) però anche quei bilanci raccontano un'Italia che cresce e diventa più ricca. Certo il quadro delle top 100 tra le quotate in borsa non è quello di chi aveva bisogno di aiutini - come invece è avvenuto - da parte del governo Monti. Se anche il fisco fosse andato a bussare alla loro porta non sarebbe accaduta grande tragedia: alla peggio restavano tutti ricchi come l'anno prima.

 

Mario Monti e moglie NAPOLITANO E MARCEGAGLIA GIUSEPPE MUSSARI FEDERICO GHIZZONI GIOVANNI BAZOLI resize BERNABE