MONTE DEI PASCHI DEL PD - SIENA HA FATTO SISTEMA, INTORNO ALLA SUA BANCA, CON UNA RETE TRASVERSALE CHE ABBRACCIAVA TUTTO: POLITICA, MAGISTRATURA, UNIVERSITÀ, CHIESA, MASSONERIA. E CHI SI METTEVA DI TRAVERSO PAGAVA DAZIO, COME È APPENA CAPITATO AL DIRETTORE DELLA NAZIONE, MAURO TEDESCHINI, RIMOSSO PER AVER PUBBLICATO ARTICOLI SGRADITI SU MPS - LA RESA CORRISPONDE ALLA FINE DI QUESTO SISTEMA. NON A CASO È ARRIVATO PROFUMO, BEN GRADITO A BERSANI…

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1- MPS-VENETA: NEL 2016 LA GDF INDAGHERA' SULLE VOCI DI VENDITA DE LA7?

Gianni Gambarotta per www.michelearnese.it

Cara Gazzetta Economica,
la vendita di Antonveneta al Monte dei Paschi di Siena risale al maggio 2008. Viste le notizie di cronaca di oggi (ipotesi aggiotaggio e altro), possiamo sperare che nel maggio 2016 la Guardia di Finanza si occuperà anche delle voci di vendita di Telecom Italia Media e dei relativi protagonisti?
Un cordiale saluto.
Gianni Gambarotta


2- UN URTO MEDIATICO-GIUDIZIARIO SQUASSA L'EX MPS DI MUSSARI
Michele Arnese per www.ilfoglio.it
(...)

Ad aprile il caso dell'acquisizione di Antonveneta nel 2008 da parte di Mps è stato discusso nell'assemblea della banca. "Rispondendo a una domanda di un piccolo azionista - ha ricordato ieri Ugo Bertone sul sito "Firstonline" - Tommaso Di Tanno, eminente studioso delle scienze tributarie vicino a Vincenzo Visco (e a Massimo D'Alema) e presidente uscente del collegio sindacale di Mps, aveva risposto ai dubbi sul prezzo, vicino ai 9 miliardi, pagato per Banca Antonveneta, che, pur non essendo stata fatta alcuna due diligence, i documenti pervenuti al collegio erano risultati corretti sul piano formale e sostanziale". "Il valore patrimoniale della Banca era di 2,3 miliardi e fu acquistata per 9 miliardi - ha aggiunto Di Tanno, sorprendendo azionisti e analisti - Non entro nel merito se il prezzo di 9 miliardi fosse appropriato".

Di Tanno ha anche ricordato che la due diligence preventiva sulla banca veneta "non fu fatta", tuttavia i dati "risultarono veritieri". "Una vera e propria ‘bomba' - ha chiosato Bertone - fatta esplodere da uno dei tributaristi più autorevoli vicini al Pd, spesso intervistato tra l'altro per i servizi di "Report", la trasmissione tv di Milena Gabanelli che domenica sera ha acceso, circostanza forse non casuale, i riflettori su Siena, dove altre fazioni del Pd soprattutto tra i cattolici si stanno sfidando da settimane proprio sul Monte dei Paschi di Siena". Di Tanno, tra l'altro, è stato in passato anche presidente del collegio sindacale della Caltagirone spa.

A Siena si è notato ieri un atteggiamento atarassico dei nuovi vertici dell'istituto: il nuovo presidente Alessandro Profumo e il direttore generale Fabrizio Viola hanno seguito le perquisizioni delle Fiamme Gialle e ai giornalisti hanno dato appuntamento a oggi per la presentazione di Viola come nuovo amministratore delegato.

3- SALTA L'INTRECCIO ROSSO TRA AFFARI E POTERE PD
Marcello Zacché per "il Giornale"

Non una banca qualunque, bensì la più antica del mondo, terzo gruppo creditizio in Italia. Che con Giuseppe Mussari, l'ex presidente divenuto capo dell'Abi, si era evoluto in un crocevia di poteri forti ben diversificati: da Caltagirone a Guzzetti, da Mediobanca a Tremonti.

Il segnale finale della resa arriva con l'inchiesta aperta sull'acquisizione dell'Antonveneta del 2008, coordinata dalla Procura della Repubblica di Siena, che ha portato la Guardia di Finanza a perquisire la banca e le abitazioni di dirigenti, tra cui Mussari. Il fatto che i pm siano proprio quelli senesi è importante: indica la presa di distanza della magistratura locale dal sistema di potere, costruito negli anni, di cui essa stessa è giocoforza parte integrante. Ma che non regge più, non ha più coperture. Liberi tutti, nel disperato tentativo di salvare il salvabile.

L'operazione Antonveneta è costata a Mps 10 miliardi. E quando è stata annunciata, nel novembre 2007, la banca ne capitalizzava 12,6: per procedere ha dovuto prosciugare il proprio free capital ed effettuare un aumento di capitale di 5 miliardi. Qualche tempo dopo, nel settembre 2008, falliva Lehman Brothers, iniziava la crisi e l'operazione Antonveneta, che già era apparsa cara, si rivelava letale, divorandosi il capitale della banca e il patrimonio della Fondazione Mps, che ne deteneva la maggioranza assoluta. A nulla sono valsi i Tremonti bond, un successivo aumento di capitale da 2 miliardi e la recente discesa della Fondazione sotto il 50%: il risultato è stato il corto circuito del sistema di potere.

Lo schema era semplice: la politica, attraverso gli enti locali, Comune e Provincia su tutti, controlla la Fondazione. Che a sua volta controlla la banca. Che a sua volta restituisce alla Fondazione, sotto forma di dividendi, le risorse che a questa servono per finanziare il territorio degli elettori. Mentre per la banca dispensa assunzioni importanti. E il cerchio si chiude.

La colorazione storicamente «rossa» delle giunte toscane rendeva la banca «vicina» al Pci (poi Ds, oggi Pd). Qualcuno parla addirittura di cassaforte del partito comunista: non è corretto, dal momento che Mps ha sempre finanziato tutti, essendo anche una delle principali banche, per dire, che più ha lavorato con la Fininvest. Ma certo con comunisti ed ex c'è sempre stato un feeling particolare. Ed era questo che rendeva Siena molto vicina a Roma, anche attraverso epici scontri di potere maturati all'interno del Pci, dei Ds (dalemiani e veltroniani si sono scannati a più riprese intorno a Fondazione e Mps) e del Pd (l'ultimo duello è stato tra cattolici ed ex comunisti sulla successione a Mussari).

Sarebbe però riduttivo ed errato fermarsi qui. Siena ha fatto sistema, intorno alla sua banca, con una rete trasversale che abbracciava tutto: politica, magistratura, università, chiesa, massoneria. E chi si metteva di traverso pagava dazio, come è appena capitato al direttore della Nazione, Mauro Tedeschini, rimosso per aver pubblicato articoli sgraditi su Mps. La resa corrisponde alla fine di questo sistema. Non a caso è arrivato Alessandro Profumo, ben gradito a Bersani, al posto di Mussari, con il compito di ricostruire il patrimonio trovando nuovi capitali, questa volta fuori dalla Fondazione e dunque dalla città stessa, che viene lasciata andare.

Lanciando così un messaggio chiaro: il Monte del futuro non sarà più nelle mani del potere della città, che ha abdicato. Ma del mercato. E, naturalmente, di chi in questo si saprà muovere meglio degli altri.

 

 

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