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Ettore Livini per “la Repubblica”
L’Alitalia si prepara a lanciarsi tra le braccia di Etihad lasciando a Cai e banche (come ricordo degli anni passati assieme) un buco da 900 milioni. I soldi, tanti, bruciati dalla cordata dei patrioti dal 2009, una montagna d’oro diventata il casus belli che avvelena i rapporti tra loro — Benetton in primis — e le Poste Italiane. Ree, dicono i critici, di voler prendere la cloche della compagnia per conto del Governo senza farsi carico come gli altri dei conti del passato.
«Noi la nostra parte l’abbiamo fatta » ha detto qualche giorno fa il numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni quando Francesco Caio ha iniziato a puntare i piedi chiedendo (con successo) il varo di una società cuscinetto fatta apposta per lui. E’ vero: lo Stato si è messo alla regia dell’ennesimo salvataggio di Alitalia. I quattrini però — almeno questa volta — ce li stanno mettendo quasi tutti i privati dopo che nel 2009, in occasione dell’operazione targata Silvio Berlusconi, i contribuenti hanno pagato 4 miliardi per tenere in volo la società.
Le banche, per dire, hanno già visto andare in fumo oltre 400 milioni. Intesa ha sottoscritto 176 milioni di capitale fino ad oggi, quattrini diventati carta straccia. Ora dovrà aprire il portafoglio per garantirne altri 90 convertendo parte della sua esposizione con l’aerolinea in azioni. In più cancellerà una quarantina di milioni di crediti. A Unicredit è andata appena meglio. Circa 50 milioni si sono già volatilizzati, bruciati dalle perdite.
Adesso Piazza Cordusio rinuncerà a incassare 80 milioni di prestiti e trasformerà gli altri (160 milioni) in capitale. Sacrifici appena minori faranno Mps e Popolare Sondrio. E tutti, alla fine, saranno chiamati con un gesto di fiducia quasi cieca a garantire prestiti per qualche centinaio di milioni alla nuova Ali-had.
Premio Guido Carli Federico Ghizzoni
Ancora peggio — specie confronto alla loro disponibilità patrimoniale — è andata ai soci privati. I mal di pancia di Atlantia di queste ore hanno una spiegazione semplice: i 140 milioni dei Benetton già bruciati nella fornace di Alitalia. Gli ultimi 45 formalizzati proprio questa settimana. Una discreta sommetta cui va aggiunto a piè di lista l’assegno da 90 milioni che dovranno firmare nell’ambito dell’operazione Etihad.
La tribolata aerolinea tricolore si è rivelata un salasso anche per Roberto Colaninno. Il buco nero della Magliana, nel suo caso, ha risucchiato 120 milioni della Immsi, creando anche qualche piccolo malumore tra i soci minori dell’imprenditore mantovano. La lista delle vittime collaterali della cordata dei patrioti comprende anche Pirelli (50 milioni), le ex società dei Ligresti ed Air France che nell’avventura a Roma ha perso la bellezza 323 milioni.
Le Poste, forti di questa esperienza passata e dopo aver visto svanire in otto mesi i 75 milioni versati in Alitalia su richiesta del Governo Letta lo scorso novembre, hanno messo le mani avanti. «L’investimento ci interessa — ha ripetuto fino alla noia a tutti Caio in questi giorni — ma lo facciamo solo se possiamo mettere i nostri capitali in una società nuova (l’ormai famosa “midco”, ndr) e non in quella macchina mangiasoldi che è la compagnia vecchia versione». Esposta pure ai venti capricciosi di contenziosi con Toto, Windjet che potrebbero costare fino a 470 milioni.
«Non possiamo diventare soci di Serie B», hanno risposto Benetton e le banche, convinti di essersi già cavati abbastanza sangue con i 900 milioni a fondo perduto spesi per tenere in quota l’azienda. Nessuno, ovvio, vuol tirare troppo la corda. Oltre Etihad ci sono solo il baratro e perdite ancora peggiori. I legali stanno cercando però in queste ore una soluzione che accontenti tutti.
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