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COME PRIMA, PIU’ DI PRIMA - LA POLITICA ED IL MONTEPASCHI: UN GROVIGLIO FUNESTO (E PERVERSO) - PRIMA SIENA PRENDEVA ORDINE DA BOTTEGHE OSCURE, ORA DA PALAZZO CHIGI - IL REBUS DEL REFERENDUM SULL’AUMENTO DI CAPITALE, MADE IN JP MORGAN

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Alberto Statera per “Affari&Finanza-la Repubblica"

 

jpmorgan dimon renzi padoanjpmorgan dimon renzi padoan

Qualcuno - incauto - disse qualche anno fa che Siena con la sua banca era un "groviglio armonioso" di politica, finanza, orgoglio dei senesi. Una città "acchiocciolata" intorno al Monte dei Paschi, per parafrasare Guido Piovene.

 

Gli ultimi eventi, con le dimissioni imposte al ceo Fabrizio Viola e tutto quel che ne è seguito, in realtà era già da sempre un groviglio funesto nelle mani della politica, e nelle mani della politica si è perpetuato saldamente.

 

Il siluramento di Viola e le successive dimissioni del presidente Massimo Tononi non nascono in questi giorni, ma in luglio, quando il capo di JP Morgan Jamie Dimon, advisor del Monte, incontra a colazione il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Dimon, con Vittorio Grilli, capo per l' Europa, e regista dell' operazione, affossa il piano messo a punto dalla stessa JP Morgan insieme a Mediobanca.

 

VITTORIO GRILLI VITTORIO GRILLI

L' aumento di capitale, dopo gli otto miliardi bruciati nel 2014 e 2015, appare quasi impossibile con lo stesso capo azienda, argomentano. Ma c' è anche c' è la questione del referendum sulla riforma costituzionale, un altro nodo che sta condizionando non poco le vicende senesi e non solo, che sta a cuore al presidente del Consiglio. In caso di vittoria del no tornerebbero i timori sull' intero sistema bancario italiano.

 

Così si arriva alla settimana scorsa quando al ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, azionista del Monte dei Paschi (con poco più del 4 per cento), tocca l' ingrato compito di comunicare a Viola che, su richiesta di alcuni investitori, deve farsi da parte. Sottolineando "con l' accordo del presidente del Consiglio". E naturalmente con il consulente americano JP Morgan, che nella vicenda ha assunto un ruolo centrale: "Diciamo che sono entrati in banca senza bussare", commenta uno dei collaboratori di Viola a "La Stampa".

 

AMBASCIATORE JOHN PHILLIPSAMBASCIATORE JOHN PHILLIPS

Sui rischi per le banche italiane nel caso in cui non si trovasse una soluzione per il Montepaschi e il referendum finisse male per lui, Renzi fa stop and go. A Cernobbio dice che in caso si vittoria del no "non ci sarà la fine del mondo o l' invasione delle cavallette".

 

Ma proprio nelle stesse ore - non è un caso - c' è l' intervento dell' ambasciatore americano John Philips, il quale dichiara pubblicamente che "la vittoria del sì sarebbe una speranza per l' Italia, mentre se vincesse il no sarebbe un passo indietro". Normalmente gli ambasciatori americani non sono mai così espliciti, ma quando parla un ambasciatore è come se parlasse Washington. E l' assist a Renzi suona esplicito e robusto, non solo per tutte le altre questioni di politica internazionale sul tappeto, ma anche per le banche.

corrado passera (2)corrado passera (2)

 

Il ribaltone, tra l' altro, comporterà un rinvio della questione Montepaschi al 2017, quando il referendum sulla riforma costituzionale sarà già compiuto, anche se - vinca il no o vinca il sì - non si prevede una miracolosa prospettiva di stabilizzazione politica.

 

Nel frattempo Corrado Passera, ex ministro ed ex amministratore delegato di Intesa San Paolo, deluso dalla politica, sta preparando un suo piano di salvataggio di Montepaschi, sotto lo sguardo non malevolo di Grilli, cercando di individuare una cordata di private equity, alternativa all' aumento di capitale. Ma l' impresa è olimpionica. Renzi continua a vantarsi di aver estromesso la politica dalle banche. Promessa al vento tra le tante. Forse una missione impossibile nel groviglio funesto.