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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Sul Monte dei paschi di Siena si assiste a un assurdo scaricabarile. Con la Bce di Mario Draghi e la Commissione europea che si rimpallano il via libera al salvataggio di Stato della terza banca italiana. Sembra che nessuno - a Francoforte e a Bruxelles - voglia assumersi la responsabilità sull’ok finale. Di qui l’inedito duello tra le autorità europee.
Che poi è una sfida a nascondino, con le istituzioni che si trincerano dietro le differenti interpretazioni delle norme (scritte coi piedi, ma questa non è una novità) e nello specifico della banking recovery and resolution directive. Si tratta della direttiva europea che stabilisce - tra altro - come evitare i fallimenti bancari attraverso le ricapitalizzazioni preventive.
Mentre l’Ue dichiara di attendere il semaforo verde della vigilanza bancaria al piano industriale di Rocca Salimbeni, dall’Eurotower fanno sapere, defilandosi, che la faccenda va risolta nell’ambito di un’intesa tra governo italiano e Commissione Ue. È il primo caso in Europa di applicazione delle regole sulle risoluzioni bancarie e in regia non vuole starci nessuno: così, se qualcosa va storto, non si ha la paternità del flop. Poco importa accertare chi ha ragione, nell’ambito di questa vertenze. La scena è tanto surreale quanto penosa: ieri le agenzie di stampa hanno battuto, tra le 12.00 e le 19.00, decine di lanci con indiscrezioni, smentite e precisazioni in punto di diritto.
L’Antitrust Ue, nel dettaglio, ha precisato, chiamando in causa gli uomini di Draghi, di non avere a disposizione tutti gli elementi necessari a completare l’analisi dell’operazione volta ad autorizzare Roma ad aprire il paracadute per Mps. L’iter non sarà rapido, non meno di tre mesi. Ma qui si sta scherzando col fuoco: più passa il tempo, più si mina la fiducia dei correntisti del Monte e quella dei mercati.
Lo stallo istituzionale sarebbe legato a un presunto disaccordo relativo agli 8,8 miliardi di euro di rafforzamento patrimoniale preteso dalla Bce a dicembre dopo il naufragio dell’aumento di capitale. Qualcuno giudica quella cifra esagerata. A pesare sui bilanci malandati dell’istituto guidato da Marco Morelli è soprattutto il macigno delle sofferenze, vale a dire quei 45 miliardi di prestiti non rimborsati e vicini alla perdita. L’amministratore delegato lavora al piano, anche se la presentazione, inizialmente prevista per l’inizio di febbraio, è slittata a marzo (se tutto va bene).
Tutto questo nel silenzio assordante del governo italiano. Mentre Ue e Bce si prendevano a sberle sulle macerie senesi, ieri né palazzo Chigi né il Tesoro hanno ritenuto opportuno prendere posizione.
Sta di fatto che a due mesi esatti dal via libera di palazzo Chigi al decreto salva risparmio, che include il fondo anticrac da 20 miliardi, Mps resta pericolosamente nel guado. A pagare il conto - in ogni caso - saranno i contribuenti, visto che il fondo aperto al ministero dell’Economia è alimentato dalla fiscalità generale (cioè le tasse di famiglie e imprese).
Certo, sulla carta l’operazione potrebbe addirittura rivelarsi un affare per le casse pubbliche: leggi alla mano, la presenza del Tesoro nell’azionariato di Mps (via Venti Settembre avrà il 60-70%) è a tempo determinato e non è da escludere la realizzazione di una plusvalenza quando la ex banca del Partito democratico sarà venduta a soggetti privati. Tuttavia, i tempi e lo stesso ruolo dello Stato-banchiere sono incerti. Ragion per cui, i calcoli su presunti guadagni da registrare sui conti di via Venti Settembre al momento si fondano più su eventi sperati che su stime attendibili.
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