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1. RIVOLTA NEL PD SUL CONGRESSO LAMPO
Gianluca Luzi per la Repubblica
Primarie il 9 aprile ed elezioni politiche l' 11 giugno in un election day con le amministrative. Con uno slalom fra i ponti festivi e il referendum sui voucher: è questa la road map che sogna Matteo Renzi, ma che si scontra con l' opposizione dei due sfidanti Emiliano e Orlando. A cui, a sorpresa, si è unita la candidatura di una semisconosciuta, Carlotta Salerno, che potrebbe complicare per questioni procedurali il blitz immaginato dal segretario uscente.
Guardando al calendario diventa realistica anche la data del 7 maggio che però renderebbe quasi impossibili le politiche l' 11 giugno. Se poi la spuntassero gli sfidanti ecco il 7 luglio, con il voto a settembre. Il ministro della Giustizia ha ufficializzato ieri la sua candidatura alla segreteria in un circolo romano del Pd e subito ha fatto capire la sua contrarietà a una data così ravvicinata: «Le primarie il 9 aprile? Serve più tempo per ascoltare il nostro popolo».
Sulla stessa linea anche Emiliano che fa appello a Romano Prodi perché il Congresso sia "contendibile", mentre invece «così non c' è tempo nemmeno di fare la campagna elettorale». Anche Prodi è contrario ai tempi ravvicinati dettati da Renzi. Il Professore non parla di primarie, ma è convinto che «per l' interesse del Paese bisogna andare alle urne alla fine della legislatura, come Dio comanda, e cioè nel 2018». Perché «la durata della legislatura è un segno di serenità e di tranquillità, mentre invece vedo che si vogliono affrontare le elezioni in tempi rapidi. Non capisco. Il Paese ha bisogno di tranquillità».
Entra così nello scontro fra Renzi e gli sfidanti la questione della durata del governo Gentiloni. Ed è anche «per sostenere il governo Gentiloni, che mi sono candidato», spiega infatti Emiliano. Ma Renzi e i suoi fedelissimi sono determinati, anche sulla base di un sondaggio Swg che fotografa i rapporti di forza dopo la scissione. Il Pd scende dal 31% al 28 con la perdita della sinistra bersaniana, che infatti è al 3,2%.
Il movimento di Pisapia, Campo Progressista, è quotato al 3,9% e Sinistra Italiana si ferma all' 1,5%. Insomma - secondo la maggioranza renziana - un danno tutto sommato contenuto che può essere riassorbito. Per registrare le proteste dei due candidati sulla data delle primarie, il vicesegretario Guerini li ha incontrati prima della riunione decisiva della Commissione congressuale che si è riunita ieri e oggi. Nel pomeriggio la Direzione stabilirà il regolamento del Congresso.
2. L’ULTIMA MOSSA DI EMILIANO
Giovanna Casadio per la Repubblica
michele emiliano all assemblea pd
Un rospo difficile da ingoiare per Michele Emiliano. Le primarie il 9 aprile, ovvero cinquanta giorni soltanto di tempo per la sfida dem, sono uno schiaffo, l' ennesimo del segretario uscente che - dice il governatore della Puglia e candidato alla segreteria - mostrano una cosa soltanto: «Renzi ha paura di perdere, però tutti coloro che hanno fatto appelli contro la scissione, a cominciare da Romano Prodi, il fondatore del Pd, lo convincano a rendere congresso e primarie una bella pagina».
Nel tormento dei Dem ieri si registra un ultimo atto: la minaccia di nuovo delle carte bollate. Emiliano confida ai suoi collaboratori: «Se si va avanti a forzature, ricorreremo alle carte bollate: gli pianto un casino...». Tra le contromosse estreme cresce anche la tentazione del governatore pugliese di far un passo indietro davanti alla tetragona volontà dei renziani di accelerare sulle primarie. Ma infine, l' assicurazione di Emiliano: «Io non mollo».
L' importante è chiudere con la stagione renziana e anche quella di Andrea Orlando è «una candidatura che indebolisce Renzi», ragiona. Gli toglie voti. Indispensabile certo avere il tempo giusto «per battere l' uomo politico più veloce, più famoso, più sostenuto dai poteri forti, dal sistema della comunicazione ». L' obiettivo è archiviare il renzismo. «I 5Stelle mi votino alle primarie», rincara Emiliano, che partecipa a una iniziativa della Cgil dove ci sono anche Maurizio Landini, Nicola Fratoianni e Giorgio Airaudo. Dialogo a sinistra oltre ogni steccato.
E intanto gli scissionisti dem si organizzano. Una lunghissima riunione ieri dei bersaniani ha deciso di organizzare subito domani una convention a Roma per fare conoscere il Movimento. Martedì poi saranno annunciati i nuovi gruppi parlamentari. Il nome sarà "Democratici e progressisti". «Prima parliamo al paese, diamo il via a una organizzazione sul territorio, perché vogliamo un Movimento aperto e plurale», spiega Enrico Rossi, il governatore della Toscana.
I numeri dei gruppi non sono ancora certi. Anche se gli ex di Sinistra Italiana guidati da Arturo Scotto che aderiranno sono 17: oltre a Scotto, Ciccio Ferrara, Alfredo D' Attorre, Donatella Duranti, Arcangelo Sannicandro, Carlo Galli, Florian Kronblicher, Lara Ricciatti, Gianni Melilla, Vincenzo Folino, Giovanna Martelli, Franco Bordo, Claudio Fava, Marisa Nicchi, Michele Piras, Filippo Zaratti, Stefano Quaranta. A questi si sommano oltre 22 ex dem, tra cui Bersani, Stumpo, Cimbro, Agostini, Zoggia, Leva, Bossa, Epifani.
Pierluigi Bersani Roberto Speranza Alfredo D Attorre
Roberto Speranza potrebbe essere il capogruppo proprio per la sintonia con gli ex vendoliani e la capacità di mediazione già mostrata quando era capogruppo del Pd. Il problema politico è che gli scissionionisti dem nascono come salvagente del governo Gentiloni, contro la tentazione di Renzi di anticipare a giugno le elezioni politiche. Gli ex vendoliani valuteranno invece di volta in volta se votare la fiducia al governo Gentiloni.
Sono 13 i senatori dem scissionisti, tra cui Filippo Bubbico, Miguel Gotor, Doris Lomoro (forse capogruppo), Federico Fornaro, Maurizo Migliavacca, Carlo Pegorer, Lucrezia Ricchiuti, Maria Gatti, Lodovico Sonego, Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Felice Casson, Cecilia Guerra. Massimo Mucchetti, Luigi Manconi, Walter Tocci dissidenti nelle file dem, hanno deciso di restare nel partito. «Non è questa la mossa utile per battere Renzi», spiega Mucchetti. Manconi, però, guarda al movimento di Pisapia.
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