CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL GIORNO: “QUANTE…
Roberta Amoruso per “il Messaggero”
Più aumentano i contagi, più tempo ci vorrà per scongelare quella fetta rilevante di economia cinese che rimarrà cristallizzata per almeno un mese. Con effetti che arriveranno prima o poi anche sulla crescita europea, Italia compresa. Del resto sono ferme 14 province cruciali della manifattura del Paese, da Guangdong dove si trova la città tech per eccellenza di Shenzhen; a Shanghai, snodo portuale decisivo che ospita anche il recente impianto della Tesla; ma anche Jiangsu, dove si producono le Nike; Henan sede di Foxconn, dove si assemblano gli iPhone.
È qui che si trova quasi il 70% del Pil prodotto nel 2019. E sempre da qui è partito a dicembre il 76% delle esportazioni. Certi numeri dicono che sarà proprio il tempo a fare la differenza con gli effetti della Sars del 2003. Era un mondo diverso, diciassette anni fa: la Cina pesava il 4% sull'economia mondiale contro il 16% di oggi e l'economia non era così globalizzata. Oggi si teme davvero un effetto valanga ben peggiore sulla crescita.
una lavoratrice del foxconn group di shenzen
Una certa cautela rimane d'obbligo, lo dice anche l'Fmi: non è ancora chiaro quanto durerà l'isolamento. Ma c'è un numero che inizia a farsi sentire con insistenza nelle previsioni degli economisti. Nella migliore delle ipotesi, e cioè che ad aprile arrivi la svolta, il Coronavirus costerà 40 miliardi di euro di crescita cinese (circa l'1% del Pil) soltanto nel primo trimestre.
La spinta economica della Cina nei primi tre mesi potrebbe dunque scendere sotto il 5%, come del resto previsto da un economista del governo, rispetto al 5,8% già rivisto al ribasso prima che scoppiasse il contagio, ben lontano dal 6,5% sperato da Pechino dopo che nel primo trimestre 2019 si era raggiunto un 6,4% contro il 6,6% del 2018, il peggior trend degli ultimi 28 anni. Ebbene, se così andranno le cose, la crescita globale potrebbe a quel punto calare dello 0,15-0,30% nel primo trimestre, sostiene Morgan Stanley.
l'impianto tesla di shanghai 1
Se poi gli effetti arrivassero al secondo trimestre, il Pil cinese può perdere un altro 2%: vuol dire altri 70-80 miliardi di ricchezza persa, fino a 120 miliardi in 6 mesi. Cifre sostenibili per il Dragone, capace di grandi reazioni. Anche l'effetto domino sul resto del mondo, seppure in un contesto già debole, sarebbe sostenibile. Altra cosa è immaginare un Pil del primo trimestre dimezzato al 3%, come fa Capital Econimics: si parla di 120 miliardi, una cifra importante. Valutazioni che ieri hanno deterinato un calo del 2,1% dell'indice Dow Jones della Borsa di New York.
L'ESPOSIZIONE
un'operaia di foxconnCIVITAVECCHIA ALLARME CORONAVIRUS SULLA NAVE
Finora è prevalsa la prudenza, ma l'incubo di qualcosa di più importante è già nell'aria. È un report dell'ufficio studi di Unicredit, per esempio, a riportare l'ultima cifra azzardata da qualche economista che si è esercitato a misurare il rischio di una pandemia globale: ad andare in fumo potrebbero essere circa 600 miliardi di dollari di Pil mondiale (lo 0,6-0,7%). Quanto agli effetti sull'Italia, per il ministro Roberto Gualtieri «è prematuro fare previsioni».
xi jinpingelon musk – lancio delle tesla made in china
Ma qualche indizio importante c'è. Ad oggi, metà della domanda di beni di lusso made in Italy proviene proprio dalla Cina (compreso l'e-commerce). Solo nel 2018 sono stati 5 milioni i turisti cinesi passati dal nostro Paese. Non a caso è sempre Pechino a detenere il controllo del mercato dello shopping tax free con un robusto 36%. Non solo. Ora una quota importante dell'interscambio Roma-Pechino (con circa 13 miliardi di esportazioni italiane in Cina e 30 miliardi di importazioni) potenzialmente a rischio è rappresentata dalle vendita di macchine agricole made in Italy.
Seguono l'abbigliamento e gli articoli in pelle, i prodotti chimici e farmaceutici, poi autoveicoli e rimorchi. Mentre l'import privilegia l'elettronica (circa il 27% del totale), davanti ad abbigliamento, macchinari e apparecchi elettrici. Un business concentrato soprattutto in Lombardia che vale oltre un terzo dell'interscambio complessivo (il 38,7%), ma anche in Emilia Romagna e Veneto. Che dire degli accordi commerciali, delle operazioni di M&A e delle joint venture Italia-Cina finite in stand-by? Quasi due terzi delle imprese italiane iniziano a temere tempi lunghi. Ma andare oltre marzo può costare caro.
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