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Vittorio Malagutti per il "Fatto quotidiano"
Sergio Marchionne si ripete. Agosto non è stato "bello in Italia", ha detto ieri l'amministratore delegato della Fiat. "Si prevede un 20% in meno rispetto al 2011". All'incirca 30 giorni fa Marchionne aveva usato esattamente parole simili per commentare un mese di luglio freddissimo per le vendite di automobili nel nostro Paese, che erano crollate di un altro 20 per cento circa in confronto allo stesso periodo dell'anno scorso.
Le dichiarazioni di Marchionne hanno preceduto di poche ore la diffusione dei dati ufficiali. In agosto il mercato automobilistico si è in effetti ridotto di un 20,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. Nei primi otto mesi dell'anno sono state immatricolate meno di un milione di auto, 980 mila per la precisione. E cioè il 19,8 per cento in meno di quanto era stato registrato tra gennaio e agosto del 2011.
Questo significa che, secondo le stime degli analisti, nel 2012 non si arriverà neppure a quota 1,4 milioni di auto immatricolate. Si tornerebbe così agli stessi livelli del 1979, dando così ragione a chi in questi mesi parla di Italia in fase di "demotorizzazione". "Siamo tornati indietro di mezzo secolo", drammatizza l'Unrae, l'Unione delle case automobilistiche estere.
Mentre Federauto, l'associazione dei concessionari, lamenta la "miriade di tasse e balzelli" con cui il governo ha bersagliato il settore auto e chiede al ministro Corrado Passera un incontro urgente per discutere la situazione. Tra l'altro il crollo delle immatricolazioni si traduce in un taglio pesantissimo del gettito fiscale legato alle auto. Un taglio che secondo alcune stime potrebbe superare i 3 miliardi.
"Mai visto un numero così basso in vita mia", si lamenta (ovviamente) Marchionne. Male, malissimo, quindi. Il guaio di gran lunga peggiore, però, è che il gran capo del Lingotto con ogni probabilità sarà costretto a ribadire il concetti analoghi anche nei mesi prossimi. Dai fasti del fantasmagorico piano Fabbrica Italia Marchionne si trova adesso costretto a gestire una crisi di dimensioni catastrofiche.
Niente da fare, il cavallo non beve, come amava ripetere Marchionne per descrivere un mercato piatto che più piatto non si può. Solo che fino a pochi mesi fa la metafora del cavallo serviva a giustificare il rinvio degli investimenti in Italia. Investimenti? Il tema, come si dice in questi casi, è scomparso dall'agenda. Dopo anni di promesse, adesso semplicemente non se ne parla più. Peggio ancora, le tabelle di marcia date per certe solo pochi mesi fa, adesso sembrano in forte dubbio, per usare un eufemismo.
L'ultima novità in ordine di tempo riguarda il destino della Nuova Punto. "Se ne parla, forse, nel 2015", recitano le indiscrezioni di mercato. La produzione, quindi, dovrebbe partire con un anno e più di ritardo rispetto al previsto.
Una prospettiva a dir poco preoccupante per i lavoratori dello stabilimento di Melfi, a cui era destinata la versione riveduta e corretta dell'utilitaria di classe B del gruppo torinese. Fiat non conferma e per i dettagli sui programmi aziendali rimanda alla presentazione della prossima trimestrale prevista in autunno.
Nel frattempo Marchionne non può fare altro che parlar d'altro, cercando di spostare l'attenzione degli osservatori il più lontano possibile dall'Italia. Brasile e Nord America stanno andando "alla grande", ha sottolineato ieri il numero uno del Lingotto. Vero, ma i numeri vanno anche spiegati.
E allora si scopre che il mercato brasiliano, cresciuto in luglio (ultimo dato disponibile) del 18,9 per cento in confronto allo stesso mese del 2011. Ottimo risultato, non c'è che dire. Solo che il boom di vendite è stato innescato dagli sgravi fiscali decisi dal governo della presidente Dilma Rousseff, preoccupata per i dati negativi dei mesi precedenti e per le conseguenze sul piano occupazionale di un'eventuale crisi del mercato automobilistico.
Non per niente la concessione delle agevolazioni è stata di fatto condizionata al ritiro di eventuali piani di ristrutturazione negli stabilimenti dei quattro grandi produttori stranieri presenti sul mercato brasiliano (il quarto più importante del mondo). E cioè Ford, Volkswagen, General Motors e, appunto, Fiat. La manovra fiscale ha consentito alle case automobilistiche si smaltire l'invenduto accumulato nei piazzali. Resta da vedere che cosa succederà nei prossimi mesi.
Anche negli Stati Uniti, dove il boom della Chrysler tiene a galla i conti dell'intero gruppo Fiat, qualche analista non ha mancato di sottolineare la partenza al rallentatore delle vendite della Dodge Dart, la prima compatta lanciata dalla casa americana in sette anni.
Il frutto della collaborazione tra Chrysler e Torino fin qui ha dato risultati deludenti e questo secondo il Wall Street Journal metterebbe in discussione l'intera strategia d'integrazione studiata da Marchionne.
Il quale oggi è atteso in Serbia per un incontro con il presidente Thomislav Nikolic. Belgrado, a quanto pare, non sarebbe in grado di rispettare gli impegni presi con il Lingotto per favorire il rilancio dell'impianto di Kragujevac. Un'altra grana per Marchionne. Come se non bastassero quelle italiane.
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