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Daniele Martini per Il Fatto
Come scolaretti impreparati davanti alla maestra, due banchieri di una delle più grandi banche nazionali, tremano all'idea che il signor padrone non è stato accontentato. à il 21 luglio 2011 e i due parlano al telefono senza sapere di essere ascoltati dalla Guardia di Finanza. Sono Massimo Ponzellini ed Enzo Chiesa. Il primo è l'ex presidente della Banca Popolare di Milano, poi indagato e arrestato a maggio di quest'anno per la concessione di finanziamenti illeciti. Il secondo banchiere è il direttore generale. Il signor padrone, infine, è Francesco Gaetano Caltagirone.
Ponzellini e Chiesa tremano come foglie. "Mi dicono che è stato rigettato in comitato il fondo Seneca", balbetta Ponzellini sbalordito, come se stesse parlando di un fatto inaudito. Il fondo Seneca, per Ponzellini, non è un cliente normale, un imprenditore qualsiasi, un artigiano, un commerciante a cui si possono anche chiudere le porte della banca in faccia senza tante spiegazioni.
Al fondo Seneca non si può neanche pensare di dire di no perché è uno dei costrutfondi immobiliari di Caltagirone. L'altro, il direttore della banca, mette subito le mani avanti, come a dire, non è colpa mia: "Io non c'ero perché ero in Consob". Ponzellini si macera: "Io c'ero, ma... non mi ricordo". E poi geme, come sentisse arrivare il colpo secco della bacchetta sulle nocche delle mani: "Andare a dire a Caltagirone che non gli diamo i soldi al fondo Seneca diventa una bestia". E l'altro, girando il coltello nella piaga: "Eh... diventa una bestia sì!".
I due banchieri si macerano, non sanno che pesci prendere: scontentare Caltagirone per loro è come bestemmiare davanti all'altare, ma nello stesso tempo si sentono il fiato sul collo degli ispettori della Banca d'Italia che alla Bpm hanno trovato anomalie a iosa, a cominciare proprio dalla disinvolta erogazione di finanziamenti al gruppo Caltagirone e alla galassia che gli gira intorno.
Un'operazione, in particolare, era stata giudicata assai disinvolta, quella relativa al finanziamento di Investire immobiliare-Fondo Apple dei fratelli Nattino, i banchieri della Finnat, finanzieri di fiducia di Caltagirone. Una pratica che poi sarebbe costata a Ponzellini l'accusa di abuso nell'esercizio del credito. Il fondo Apple è partecipato per il 10 per cento proprio dal fondo Seneca del potente costruttore romano e per l'85 per cento dalle Generali di cui lo stesso Ponzellini è un manager essendo vicepresidente di Ina-Assitalia che è appunto di Generali.
Nel 2010 Apple dei Nattino chiede alla Bpm, cioè a Ponzellini che si fa un baffo del conflitto di interessi, un finanziamento di 65 milioni di euro per l'acquisto di un terreno, l'area Z3, 30 mila metri quadrati nell'immensa lottizzazione di Tor Pagnotta, tra l'Ardeatina e la Laurentina a sud di Roma dove Caltagirone costruisce un nuovo quartiere di circa 1 milione di metri cubi.
La zona Z3, però, al costrut tore romano non interessa perché è social housing, in pratica edilizia popolare, in base alla concessione per Tor Pagnotta rilasciata nel 2005 dall'allora sindaco Walter Veltroni. E il social housing a Caltagirone piace poco o punto perché rende poco, è "diseconomico". Da qui l'idea di sbolognare la Z3 al Fondo Apple dei fidati Nattino.
Il fondo Apple chiede i soldi a Ponzellini e Ponzellini dà , anche a costo di sfidare il parere negativo del Servizio crediti della banca che gli fa notare che il costo del terreno (quasi 54 milioni) è spropositato rispetto alle opere che si sarebbero dovute realizzare sull'area, arrivando addirittura al 57 per cento del totale, più del doppio della norma.
Ponzellini fa finta di non sentire e spalanca il forziere della banca agli amici dell'amico Caltagirone. I quali comprano la Z3 e poi costruiscono 8 piani fuori terra e 3 interrati, 486 appartamenti piccoli come celle, 75 monolocali di 40 metri quadri, 400 bilocali di 60 e una decina di 90. A chi affidano i Nattino il progetto, la direzione dei lavori e la costruzione? Ma a Caltagirone, naturalmente. Che così tra l'area venduta e tutto il resto, incassa un centinaio di milioni per un lavoro che non gli piaceva. Grazie a Ponzellini, soprattutto.
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