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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1- DRAGHI HA I TITOLI GIUSTI PER FARE LA SUA REPRIMENDA NEI CONFRONTI DEI TRE "UNTORI"?
A volte anche l'economia, che Keynes definiva una scienza triste, si concede qualche indulgenza lessicale. L'anno scorso è saltata fuori la parola "locuste" con la quale si indicavano gli hedge fund e il private equity, insetti fastidiosi che hanno minato le fondamenta della finanza mondiale.
Adesso è la volta degli "untori" che per manzoniana memoria sono indicati come la peste dei mercati e degli stati sovrani. Stiamo parlando delle tre agenzie di rating che con i giochetti delle prime lettere dell'alfabeto mandano a puttane la debole architettura dell'economia e della politica. Prima fra tutte è Standard&Poor's, l'agenzia americana nata nel 1941 che ha messo l'Italia alla pari con il Perù e il Kazakistan.
Non tutti gli economisti sono però d'accordo nel condannare l'untore d'Oltreoceano che viene indicato come l'ariete di una politica protesa a favorire il dollaro per far saltare l'euro. A prendere la difesa (in controtendenza rispetto alla condanna unanime) ha cominciato domenica sul quotidiano "Il Fatto" l'economista Vladimiro Giacché, uno studioso che lavora nella Sator di Matteuccio Arpe e ha scritto un libro su Marx che ha fatto godere Alessandro Profumo.
Adesso Giacché, che sta per mandare alle stampe una sua originale interpretazione della crisi, scrive che invece di gridare alla congiura per i giudizi di Standard&Poor's, i leader europei farebbero bene a cambiare la loro politica e ad abbandonare gli atteggiamenti maniacali nei confronti del debito pubblico invece di preoccuparsi della crescita. E ieri quando il commissario europeo Olli Rehn ha detto senza mezzi termini che le agenzie di rating sono fantocci degli americani, un altro economista, Alberto Alesina, è rimasto inorridito. A tutti è noto il feeling ideologico che il 54enne professore all'università di Harvard ha nei confronti degli Stati Uniti e delle posizioni "liberal" che ha esternato nei suoi scritti a quattro mani con Francesco Giavazzi e Andrea Ichino.
"Parliamo di cose serie - ha detto Alesina nella trasmissione "Sky Tg Economia" dove si sente terribilmente la mancanza della conduttrice Sarah Varetto - è grave che Olli Rehn parli in questo modo di Standard&Poor's, quindi dovrebbe dimettersi".
Mentre il riccioluto professore pronunciava queste parole, a Strasburgo Mario Draghi teneva un intervento dai toni drammatici di fronte alla Commissione economica dell'Europarlamento. à raro che il Governatore della BCE perda le staffe e ciò non è avvenuto nemmeno a Strasburgo dove tre camerieri in divisa distribuivano caffè ai parlamentari europei.
Tuttavia il tono delle sue parole è stato giudicato inconsueto soprattutto in quel passaggio in cui ha detto che la situazione è peggiorata ed è "very grave". Per i giornali la traduzione dall'inglese di "very grave" oscilla tra "gravissima" e "molto grave", ma questo è un dettaglio perché comunque il grido d'allarme è stato potente e ancora più sorprendente è suonato l'attacco alle agenzie di rating di cui ha detto testualmente "bisogna imparare a farne a meno o a considerarle uno dei tanti componenti delle valutazioni del credito".
La risposta che in queste ore stanno dando i mercati sembra dargli ragione, ma qualcuno ieri a Strasburgo mentre i camerieri in divisa bianca spargevano caffè bollenti nell'emiciclo, si è chiesto maliziosamente se Draghi avesse i titoli giusti per fare la sua reprimenda nei confronti dei tre "untori" (Standard&Poor's, Moody's e Fitch). La stessa malizia, accompagnata da una certa ironia, pare che si sia manifestata a New York al numero 200 di West Street e a Londra al numero 120 di Fleet Street dove si trovano i quartieri generali di Goldman Sachs.
In quegli uffici infatti ricordano un Draghi diverso, quello che dal 2002 al 2005 è stato vicepresidente della merchant bank più grande del mondo, da cui sono sempre partiti e continuano a partire giudizi e pagelle generosi o impietosi. E tanto per rincarare le critiche non manca chi ricorda che prima di essere nominato a giugno presidente della BCE, il nostro ex-Governatore ha guidato per cinque anni il Financial Stability Board, l'Organismo che avrebbe dovuto introdurre regole e vincoli per imbrigliare le locuste e gli untori.
Lo scenario è cambiato, ma gli uomini sono sempre gli stessi, e secondo le circostanze sono pronti a premiare o a fustigare.
2- FUGA DA UNICREDIT, ORMAI IN MANO AI CAPITALI STRANIERI, PER PALENZONA ED EMMANUELE EMANUELE
L'esercito malconcio dei banchieri italiani è a consulto in queste ore nella stanza del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco.
Alla loro guida c'è il boccoluto Peppiniello Mussari che vorrebbe uscire dall'incontro con la testa sulla picca di Andrea Enria, il presidente italiano dell'Eba, l'Organismo di controllo delle banche europee che ha chiesto ai principali istituti italiani di procedere alla ricapitalizzazione. Tra i personaggi minori che partecipano al consulto ci sono alcuni presidenti delle Fondazioni bancarie che di fronte alla crisi devastante di queste settimane hanno visto ridurre in maniera drastica il loro peso "politico" dentro il sistema creditizio.
A soffrire sono soprattutto personaggi come Gabriello Mancini, il ragioniere della Fondazione MontePaschi, e i suoi colleghi delle diverse fondazioni che sono costretti a versare altro sangue per l'aumento di capitale di Unicredit. Da questa situazione è facile immaginare che saranno in pochi a uscire senza le ossa rotte. Uno che potrebbe tenersi a galla è Fabrizio Pallenzona, l'ex-camionista di Novi Ligure che con grande solerzia ha spinto la Cassa di Risparmio di Torino a sottoscrivere in pieno l'aumento di capitale voluto dal piacentino Ghizzoni.
Anche lui però dovrà fare i conti con i nuovi azionisti che entreranno a piazza Cordusio e di cui è difficile oggi conoscere l'identità . Dopo i cosacchi del Kazakistan e i tedeschi stimolati dal presidente Dieter Rampl, si dice che a sottoscrivere i 7,5 miliardi siano alcuni fondi americani che per il "Corriere della Sera" hanno già tra le mani qualcosa come il 5,5% del capitale.
Non a caso il furbo Pallenzona si sta ritagliando un profilo sempre più incisivo intorno alla poltrona da presidente della società Aeroporti di Roma, e lo fa con l'aiuto di un possente ufficio stampa che snocciola dati meravigliosi sui ricavi e sugli investimenti che la società intende fare nei prossimi anni.
C'è però da segnalare che tra i presidenti dolenti delle Fondazioni ce ne è un altro che ha avuto il naso più lungo. à Emmanuele Emanuele, l'avvocato cassazionista che guida Fondazione Roma. Questo personaggio dall'aria giovanile, che senza pudore ostenta ricchezza ed eleganza, ha fatto il percorso inverso rispetto ai presidenti delle altre Fondazioni.
Con il fiuto acquisito attraversando da socialdemocratico la Prima Repubblica, Emmanuele ha evitato di farsi coinvolgere nelle vicende che angustiano le altre Fondazioni. E così, quando Cesarone Geronzi ha lasciato la sua poltrona di via Minghetti a Capitalia, il professore-avvocato che ama i cavalli e la caccia, si è insediato con la velocità di una lepre nello stesso ufficio dentro il quale il banchiere di Marino ha diretto per anni il traffico tra i poteri forti.
Il risultato è che oggi la Fondazione Roma vanta un utile di oltre 80 milioni, un patrimonio di 1,7 miliardi e dentro Unicredit detiene un miserando 0,95% addirittura inferiore alla quota del 2,17 che detiene nella Sator di Matteuccio Arpe (il giovane e antico nemico di Geronzi in Capitalia).
Adesso l'avvocato Emmanuele, al quale sono state attribuite simpatie monarchiche, si permette anche il lusso di rimettere in discussione la partecipazione dell'Italia nell'euro e continua ad accumulare cariche nel mondo dell'arte (le ultime alla Biennale di Venezia e all'Accademia di San Pietroburgo).
3- MICHELA BRAMBILLA FINO ALL'ULTIMO GIORNO DELLA SUA GESTIONE ALL'ENIT HA TENTATO QUALCHE COLPETTO DI MANO PER FAVORIRE GLI AMICI DEL PRESIDENTE PATONZA
Negli squallidi uffici di via Marghera dove si trova l'Enit c'è molta apprensione sul futuro di questo organismo che è stato istituito per la promozione del turismo.
Il personale aspetta con ansia la Fase 2 del governo per sapere se l'Enit sarà soppresso e passerà sotto la tutela di Corradino Passera e del suo ministero. Nemmeno il ministro con la delega al turismo Piero Gnudi è al corrente di ciò che potrà succedere nei prossimi giorni, ma di sicuro all'Enit, trasformato in agenzia, cambieranno molte cose. Tanto per cominciare si butterà nel cestino il ricordo dell'ex-ministro dai capelli rossi, Michela Brambilla, che fino all'ultimo giorno della sua gestione ha tentato qualche colpetto di mano per favorire gli amici del presidente Patonza.
A novembre è stata bloccata da una fronda interna, guidata dal funzionario Caterina Cittadino, nella sua intenzione di aumentare di altri 130mila euro il compenso al direttore dell'Enit, Paolo Rubini. Il nuovo emolumento avrebbe dovuto essere attinto dalle casse di Convention Bureau, una società creata dalla Brambilla per il turismo convegnistico che si è rivelata un carrozzone con 7 milioni di dote e un deficit di 567mila euro dopo appena tre mesi di vita. Il colpo più basso però la Brambilla dalle cosce lunghe l'ha ricevuto a ottobre quando ha tentato di riconfermare alla presidenza dell'Enit Matteo Marzotto, l'ex-presidente della casa di moda Valentino molto presente nelle cronache mondane.
Così, mentre per l'Ice si profila una nuova vita nell'ambito del ministero di Corradino Passera, per l'Enit che continua a distribuire in giro per il mondo opuscoli e rivistine di pessima fattura, è buio assoluto.
4- A PALAZZO CHIGI LEGGONO DAGOSPIA: "CONGELAMENTO" PER PASQUALINO DE LISE
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che a Palazzo Chigi leggono Dagospia.
La conferma è arrivata oggi dal quotidiano "Repubblica" dove si dà per certo il "congelamento" di Pasqualino De Lise, il presidente del Consiglio di Stato per il quale Corradino Passera ha avuto l'infelice idea di proporre la nomina a direttore della nuova Agenzia per l'infrastrutture stradali e autostradali.
Il 2 gennaio scorso quel sito disgraziato di Dagospia aveva messo il dito sull'enorme conflitto di interessi tra le due cariche attribuite al ricco e trasversale grand commis.
La decisione del governo rappresenta una battuta d'arresto nel curriculum di "Pasqualino sette poltrone" che ha cominciato la sua carriera negli anni '70 al ministero dei Lavori Pubblici portando la borsa da tennis all'allora capo di gabinetto, Giovanni Torregrossa. In quell'epoca un altro giovane consigliere dell'ufficio legislativo, Carlo Malinconico, a sua volta si esercitava a portare la borsa a De Lise.
Il giro delle borse sembra finito".
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