UN EURO TROPPO FORTE UCCIDE L’EUROPA - LE AZIONI DELLA BCE PER SGONFIARE LA VALUTA EUROPEA E AIUTARE L’EXPORT NON SORTISCONO EFFETTI - O DRAGHI SI METTERA' A STAMPARE MONETA O LE COSE RESTERANNO COSI'

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Ugo Bertone per "Libero Quotidiano"

 

Giovedì 5 giugno, ore 14 e trenta, poco prima che Mario Draghi illustrasse il pacchetto di misure anti-deflazione dell'eurozona, ci volevano 1,3640 dollari per comprare 1 euro. Ieri, sui mercato valutari, la quotazione sé attestata a 1,3624. Insomma, due settimane esatte dopo la spallata della Bce che, tra gli altri obiettivi, doveva servire ad abbassare il valore della moneta, si deve prender atto che l'operazione.

mario draghi mario draghi

 

Con grave pregiudizio per gli obiettivi di Francoforte. Il calo dell'euro, agli occhi della Bce, doveva contribuire sia a stimolare l'export che a combattere la deflazione. Ma alla prova dei fatti la terapia non ha funzionato, con grave danno per l'industria italiana, che fatica a mantenersi competitiva a questi livelli, come emerge dall'analisi dei conti aziendali.

 

Almeno finora. Precisazione necessaria perché una parte del "pacchetto Draghi" (i 400 miliardi di prestiti alle banche perché li girino alle pmi, ad esempio) non è ancora partita. Il dato di fondo, però, non cambia: la Federal Reserve americana continua a praticare una politica espansiva, sufficiente a far navigare il dollaro ai minimi. In questa cornice i mercati, nonstante il taglio dei tassi europei e i rendimenti negativi imposti ai depositi della Bce, hanno almeno tre buone ragioni per diffidre del calo dell'euro.

 

Non solo la Germania ma anche l'Italia e la Spagna vantano una bilancia commerciale positiva. Nel caso nostro e di Madrid più per il peso dell'austerità (anche ad aprile l'import è diminuito, a conferma dell'andamento negativo dei consumi) che per l'aumento delle esportazioni (+0,6%, nonostante il caro euro). La conseguenza è che la richiesta i euro da parte dei paesi extra Ue sale più di quella di dollari o yen per le importazioni. In questi mesi è cresciuta a ritmi impressionanti la richiesta di titoli di Stato e di azioni, soprattutto del Sud Europa.

draghi e bernanke draghi e bernanke

 

Non pochi investitori istituzionali, a parere da Blackrock, hanno prima fatto incetta di Bonos o Btp (37 miliardi nel primo trimestre contro 13 dell'inero 2013 e -3 dl 2012), poi hanno investito forti cifre in Piazza Affari o nell'immobiliare spagnolo. Di qui una forte richiesta di euro. La politica monetaria europea è assai meno espansiva di quel che non appaia a prima vista.

 

Il titoli italiani, al metto dell'inflazione in forte caduta, rendono ancora largamente più del 2 per cento. Negli Usa, l'inflazione al netto dell'energia è all'1,6%, i rendiment i del decennale oscillano attorno al 2,5%. Non solo. I mercati ritengono che la caduta dei prezzi in Europa sia tutt'altro che finita, mentre sia in Usa che in Gran Bretagna e in Giappone l'inflazione è vista in salita.

 

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Dobbiamo rassegnarci, perciò all'euro forte? Lasciano la risposta al premio Nobel Paul Krugman. «Manovre per abbassare un tasso di cambio troppo alto hanno avuto successo in passato quando alle leve del cambio o dell'offerta di moneta si sono aggiunte misure per stimolare la domanda interna.

 

Se oggi appare così difficile far salire il dollaro è perché i Paesi interessati non vogliono usare strumenti non convenzionali per far salire la domanda interna». Insomma, o la Bce si mette a stampare carta e la Ue a rivedere le regole del Fiscal Compact, oppure l'euro continuerà, suo malgrado, ad esser troppo forte.

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