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Andrea Tarquini per “la Repubblica”
Tempi grigi per Mario Draghi, almeno in Germania. La maggioranza delle elite economiche, e non solo, della prima potenza europea non crede più in lui, è sempre più pessimista sugli effetti della sua politica di quantitative easing e di tassi ai minimi storici, ha meno fiducia sulle capacità del presidente della Banca centrale europea di mettere l’eurozona sui binari della ripresa, della competitività e delle riforme.
Giudizio da prendere sul serio perché non viene da titoli urlati della Bild o da gruppi radicali euroscettici. No, la bocciatura di Draghi da parte dei poteri forti tedeschi è fotografata da un reportage che la Frankfurter Allgemeine, tempio dei media di qualità scritti in tedesco, ha pubblicato sulla base di un rapporto commissionato al rigorosissimo istituto demoscopico Allensbach, il più importante della Bundesrepublik. Ciò può anche far prevedere che il conflitto tra Draghi e il giovane, dinamico presidente rigorista della Bundesbank Jens Weidmann difficilmente si placherà nel prossimo futuro.
Secondo la Frankfurter, che appunto cita il sondaggio Allensbach, meno della metà delle elite tedesche è soddisfatta di Draghi, anche se il tasso di apprezzamento rimane al 49 per cento, mentre cresce la diffidenza verso la sua politica monetaria accomodante e il Qe. Nel dettaglio, 52 membri dell’establishment tedesco su cento la ritengono errata, 73 su cento condannano in particolare gli ampi acquisti di titoli sovrani, specie di quelli dei paesi più deboli dell’eurozona, sui mercati secondari.
Al tempo stesso diminuisce la speranza che l’area della moneta unica si sia lasciata alle spalle i tempi peggiori: il 60 per cento dell’establishment di cui sopra pensa il contrario. I maggiori rischi per il futuro sono visti dalle elite tedesche non nella crisi greca, bensì nell’alto indebitamento giudicato ormai “strutturale” della Francia, l’alleato principale.
WEIDMANN AL WALL STREET JOURNAL
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