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Emiliano Ragoni per https://it.businessinsider.com/
Il gruppo Volkswagen è un colosso che produce quasi 9milioni di auto all’anno. Appartengono ad esso sia brand popolari come la stessa Volkswagen, la Skoda e la Seat, ma anche marchi prestigiosi ed elitari del calibro di Lamborghini, Bugatti e Ducati, che produce moto prestazionali.
Nelle ultime settimane il gigante teutonico si starebbe interrogando sul futuro di questi brand. L’indiscrezione proviene dalla Reuters che come fonte cita direttamente alcuni dirigenti secondo i quali il consiglio di amministrazione avrebbe preso in carico il riesame della strategia su questi marchi come una delle decisioni prioritarie da intraprendere nelle prossime settimane.
Cosa intende fare quindi il gruppo Volkswagen?
Le opzioni al vaglio sarebbero tante. Il colosso automobilistico, essendo un grande ecosistema formato da aziende di diversa natura, al fine di raddoppiare il suo valore di capitalizzazione di mercato portandolo a 200 miliardi di euro, ha necessità di snellirsi, ripensando la strategia sui suoi brand più piccoli. Ecco perché starebbe valutando partnership tecnologiche per la Ducati, ristrutturazioni, o altre opzioni fino ad arrivare a una quotazione in borsa, o addirittura, alla vendita di uno o più “gioielli di famiglia”.
Come mai quindi un colosso del calibro del gruppo sta mettendo in discussione questi marchi prestigiosi?
Le ragioni sono diverse. Sicuramente la motivazione più forte è di natura economica. Il gruppo Volkswagen ha costruito le sue fortune con la condivisione delle tecnologie, con le economie di scala tra i brand. E sta proseguendo con questo principio anche dopo la transizione verso le auto elettriche; la piattaforma MEB è infatti utilizzata dalla Volkswagen ID.3 e ID.4, dalla Skoda Enyaq e Cupra el-Born, oltre che dalla prossima Audi Q4 e-tron.
Il futuro del Gruppo è chiaro: il 2026 dovrebbe essere l’anno dell’ultima generazione di auto tradizionali a combustione.
Trasformazione che sta richiedendo miliardi di euro di investimenti e che nel prossimo futuro ne richiederà altrettanti, soprattutto per lo sviluppo interno del software (l’obiettivo dell’unità indipendente denominata Car.Software è quello di diventare un punto di riferimento in questa materia: secondo le stime entro il 2025, verrà sviluppato internamente il 60% del software legato ai veicoli e ai servizi, mentre ora è meno del 10%), della tecnologia di guida autonoma e delle nuove forme di servizi di mobilità.
È quindi naturale che il gruppo tedesco si interroghi se valga la pena di investire miliardi di euro per elettrificare marchi come la Lamborghini (che lo scorso anno ha venduto 4.554 auto), la Bugatti (82 unità nel 2019) e la Ducati (53mila moto vendute nel 2019), che sono storicamente legati a un pubblico che non manifesta interesse verso la trazione elettrica.
Il gruppo Volkswagen, a differenza di Tesla, che può attingere ai “capitali liquidi” degli investitori che hanno sposato il sogno di Elon Musk di salvare il mondo dai cambiamenti climatici, per raccogliere fondi per gli investimenti, si affida prevalentemente al flusso di cassa proveniente dalla vendita di auto a combustione, che verrà poi utilizzato per finanziare la transizione verso i veicoli alimentati a batteria.
Il ceo Herbert Diess ritiene che la valutazione del gruppo aumenterà una volta che il mercato comprenderà quanto siano profittevoli i suoi veicoli elettrici, ma che nel breve termine sia costretto ad affrontare una “crisi degli investimenti” dopo che i legislatori europei hanno proposto un taglio del 50% delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030.
Da qui la necessità di aumentare il valore di mercato della Volkswagen portando dagli attuali 78 miliardi a oltre 200, facendo capire agli investitori la sua grande competenza tecnologica. Ipotizzando un paragone con la Toyota, che vale 187 miliardi di dollari, si può notare che a fronte del numero di auto vendute che indicativamente è allineato con quello della casa giapponese (sono i due maggiori costruttori di auto al mondo), il valore del gruppo tedesco è praticamente meno della metà. Secondo gli analisti la differenza è dovuta al fatto che il gruppo Volkswagen, oltre ad avere più marchi, è meno efficiente e ha costi di gestione più elevati (alla fine del 2019 il gruppo tedesco contava 671.205 dipendenti, contro i 359.542 di Toyota).
In questo contesto è pacifico quindi pensare che un brand elitario come la Bugatti non rientri più nelle mire del colosso teutonico. Sono infatti recenti le indiscrezioni provenienti dalla Germania, secondo le quali il consiglio di amministrazione avrebbe già approvato la vendita della Bugatti, valutata circa 500 milioni di euro. L’ipotesi più accreditata è quella che il brand francese possa passare all’azienda croata Rimac, specializzata in auto elettriche prestazionali, attraverso la Porsche, attuale azionista di minoranza.
La casa tedesca potrebbe infatti ottenere una quota superiore della casa croata, fino al 49%, in cambio della Bugatti (il fondatore Mate Rimac attualmente possiede il 51% della casa).
E la Lamborghini? Per la casa del Toro, si parla di uno scorporo con successiva quotazione in borsa. Attualmente Lamborghini è valutata circa 10 miliardi di euro e nell’ultimo anno ha accresciuto sensibilmente i suoi utili grazie “all’effetto Urus”, quindi, essendo un’azienda in salute, è molto appetibile sul mercato.
I manager per affrontare questa “tempesta di investimenti” hanno quindi deciso di concentrarsi maggiormente sui marchi principali come Volkswagen, Audi e Porsche, cedendo quelli minori come Bugatti, Lamborghini e Ducati. Insomma per essere leader anche nella transizione verso la mobilità elettrica, smart e condivisa sono necessari dei (grandi) sacrifici.
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