FLASH! – MA GUARDA UN PO’... “EMERGE CHE IN AMBIENTI GIUDIZIARI SI È VALUTATO DI ESEGUIRE LE…
Grazia Longo per "La Stampa"
Le considerazioni di Francesco Schettino registrate dalla scatola nera durante il naufragio del 13 gennaio assomigliano alle battute di un film di Totò. Dal «C'è calma piatta, e poi ci pensi Dio» al «Vabbuò facciamoli andare a terra» e «Sto facendo una bella manovra, è tutto sotto controllo» mentre la disperazione e il caos sconvolgono i 3 mila passeggeri e gli oltre mille membri dell'equipaggio.
Ma il comandante della Concordia non è solo questo. «Sono un naufrago anch'io» dice a un suo consulente mentre, i periti, interrogati dai pm Alessandro Leopizzi, Maria Navarro e Stefano Pizza, durante la seconda udienza dell'incidente probatorio di ieri ricostruiscono quella maledetta notte in cui persero la vita 32 persone. E aggiunge: «Ho sofferto e soffro per quello che è successo, ma ho fatto il possibile per salvare 4 mila persone. La nave era la mia seconda famiglia e io sono un comandante fino in fondo».
La sua verità contro le accuse della procura, avvalorate dalla perizia ordinata dal gip Valeria Montesarchio. «Stiamo imbarcando acqua, tanto è calma piatta». A pagina 93 della perizia si legge che «3 minuti dopo l'impatto il comandante Schettino ha certezza di una falla a bordo con una cospicua entrata d'acqua tanto da impedire l'ingresso nella sala macchine».
Eppure, al telefono con la Capitaneria di Porto di Livorno alle 22.32 e 45 secondi - dunque 47 minuti dopo aver portato la Concordia sullo scoglio davanti al Giglio, quando già era chiaro a tutti, lui per primo, che la nave stava affondando - se ne esce con una delle sue. «Praticamente stiamo imbarcando acqua, tanto è calma piatta e comunque Dio ci pensi. Dobbiamo solo mettere i passeggeri a mare, se ci mandate dei mezzi per cortesia... con molta velocità ». Un altro concetto viene ribadito durante l'udienza di ieri: Schettino avrebbe dunque dovuto informare subito l'equipaggio «per permettere loro di assumere il proprio ruolo... fronteggiare l'emergenza e cooperare per la sicurezza dei passeggeri».
Non solo. Avrebbe pure potuto correggere la manovra - impostata dal primo ufficiale Ciro Ambrosio su sua indicazione- ma non lo fece. «Quindi, pur avendone la possibilità , non ha evitato l'incidente» ribadiscono i periti. «La manovra dopo l'urto fu assolutamente fortuita perché la nave era senza controllo», sottolinea l'ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone rispondendo ad alcuni chiarimenti richiesti dal gip sulle condizioni di manovrabilità della nave e la possibile distanza di arresto nel momento dell'incidente.
I periti smentiscono anche la tesi di Schettino sulla sua manovra di salvataggio. La nave si incagliò davanti al porto del Giglio «per un caso» e non per volontà e possibilità da parte del comandante di governarla. Nel rispondere a quesiti specifici del gip, i periti scrivono che «mettere la barra tutta a dritta» dopo l'urto «lascia pensare che il comandante volesse allontanarsi dall'isola e non, come da lui dichiarato, rimanere sottocosta sfruttando l'azione del vento per far andare la nave verso il punto d'incaglio».
Il difensore del comandante la pensa diversamente. «Sicuramente la manovra del comandante Schettino non è stata casuale insiste l'avvocato Francesco Pepe -. Lui, finchè potè ancora usare i timoni, impostò quella manovra tenendo conto delle correnti e del vento».
L'udienza di ieri segna, invece, un punto a favore della Costa Crociere. Il collegio peritale - come aveva anticipato l'avvocato della compagnia Marco De Luca - precisa infatti che «l'allagamento della nave fu talmente repentino ed esteso che la società poteva fare ben poco». L'unica posizione a rischio di rinvio a giudizio, dei 3 manager indagati, è quella del responsabile dell'Unità di crisi da terra Roberto Ferrarini. I periti: «Avrebbe dovuto avvisare tempestivamente la Capitaneria di porto».
Sconosciuti peraltro, perché non registrati, i consigli di Ferrarini a Schettino. Di quest'ultimo, invece, è documentata la preoccupazione della stampa e dell'abbandono nave. «Cosa dico alla stampa, no no...alla capitaneria?» domanda il comandante a Ferrarini alle 23.11 e 55 secondi. E ai suoi ufficiali suggerisce: «Più che abbandonare la nave, dici "mettiamo i passeggeri a terra"», mentre quando fugge dalla nave, alle 23.19 e 24 secondi, intima loro «Non ho detto abbandonare la nave, venite con me».
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