ROSPY DA SCHIACCIARE - CON BAFFINO CESTINATO DA BERSANI, VELTRONI, PARISI, CASTAGNETTI E LIVIA TURCO AUTOROTTAMATISI, ENRICO LETTA IN DIRITTURA D’ARRIVO (“SARÀ LA MIA ULTIMA LEGISLATURA”), NEL PD PIÙ NESSUNO È AL SICURO - I RENZIANI HANNO MESSO IL FIATO SUL COLLO ALLA BINDI, GRANDE “NEMICA” DI MATTEUCCIO - MA DIETRO LA PRESIDENTE PD CI SONO ALTRI BIG IN CRISI DI NERVI PER IL POSSIBILE RITORNO A CASA: FINOCCHIARO, FRANCO MARINI E FIORONI…

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Fabrizio d'Esposito per il "Fatto quotidiano"

La rottamazione genera gravidanze immaginarie. Ugo Sposetti, ex tesoriere ds, avanza nel cortile del Transatlantico e punta un gruppo di cronisti. Ha l'aria di chi vuole dire qualcosa, meglio precisare, se non smentire. Una settimana fa, Sposetti ha annunciato la sua decisione di non ricandidarsi per il Parlamento: "Farò il nonno se mia figlia vorrà". Una via di fuga in famiglia dal male di vivere che sta assalendo gli altri rotta-mandi, a partire da D'Alema.

Così, da quel momento, in tutti gli articoli sugli esodati della Casta democratica, il sessantacinquenne Sposetti, quattro legislature, è diventato "nonno Ugo". Trascorsi sette giorni dalla fatidica promessa, il volto spossato e grave di Sposetti affronta però i giornalisti: "Volevo dirvi che non sono nonno. Sto ricevendo telefonate anche da vecchi colleghi delle Ferrovie ma mia figlia non è nemmeno incinta. Capito?".

L'arguto professore Arturo Parisi, già prodiano, ribalta invece il punto di vista dei suoi colleghi di partito schiacciati dalla paura del vuoto una volta a casa. Per loro meglio continuare a fare i morti viventi (copyright a metà tra Grillo e Di Pietro) in Transatlantico. Per Parisi meglio dire basta al senso di giornate pesanti e vuote allo stesso tempo: "Dodici anni in Parlamento sono un'infinità, specie se penso agli ultimi quattro passati a pigiare bottoni a comando. La mia esperienza è sicuramente conclusa".

Colpa anche delle riforme mancate e di quelle pasticciate, come la bozza della nuova legge elettorale: "Una sola parola: vergogna. Perché solo ora si sta affrontando un tema la cui discussione è stata avviata ben 13 mesi fa. Napolitano, poi, con le sue dichiarazioni di incitamento non fa altro che rallentare il cammino, più che paletti quelli messi da Napolitano sono palate".

Nel fortino del Pd assediato dal furore nuovista di Matteo Renzi c'è un'invisibile linea di confine. Da un lato quelli che sicuramente andranno via e parlano senza problemi. L'ultimo è Enrico Letta: "Questa sarà la mia ultima legislatura". Dall'altro i resistenti che s'incupiscono se accenni loro la questione dopo la svolta di Veltroni di abbandonare la Camera, seguita dallo scontro tra D'Alema e Bersani.

Sono urla del silenzio, quelle della nomenklatura democratica mollata pure dal segretario. Accanto a D'Alema, nella prima fila dei bersagli facili, c'è Rosy Bindi. Contro la pasionaria del Pd c'è una sgradevole caccia alla donna. Non solo da parte dei renziani. Profetizza un autorevole bersaniano a taccuino chiuso: "Vedrete, alla fine D'Alema non si candiderà e il vero problema sarà convincere la Bindi a ritirarsi".

Il fuoco amico contro l'ex ministra è cominciato all'assemblea del 6 ottobre scorso. Lei, presidente del partito, si è trovata sotto accusa per l'eccessiva rigidità delle regole da imporre alle primarie, con l'obiettivo di penalizzare l'odiato sindaco di Firenze. Nessuna mediazione, lotta a oltranza. È dovuto intervenire Bersani per chiedere il ritiro degli emendamenti sulla cosiddetta doppia registrazione.

All'isolamento, la Bindi sta reagendo incazzata ma anche ferita. In due giorni ha ricevuto una decina di richieste d'intervista. Rigettate. Questione d'orgoglio, anche. Una con la sua storia, sembra di capire, capolista in più circoscrizioni, non accetta di ridurre tutto alla burocrazia delle deroghe, peraltro resa rovente dall'uscita antidalemiana di Bersani. Il segretario non garantirà più una rete di protezione. Tradimento? Nel caso della Bindi, nota il deputato Pd Dario Ginefra, ci potrebbe essere persino una doppia deroga: sia da presidente del partito, sia da vicepresidente della Camera. Ne chiederà almeno una, lei?

Ieri sera, Bersani ha organizzato una riunione con i parlamentari che lo sostengono alle primarie. Assente D'Alema, presente invece la Bindi. Con lei anche Anna Finocchiaro, capogruppo al Senato, e Franco Marini, altri due illustri esponenti finiti sulla strada della rottamazione. La Finocchiaro è un'altra donna che reagisce con sdegno alle richieste dei cronisti. Nel Pd, la crisi di nervi è generale.

Solo Beppe Fioroni, che ravvisa nella tensione di questi giorni la volontà di decimare l'ala centrista del partito, cerca di ironizzare su D'Alema e Bersani: "Se so' un po' presi a schiaffi". Sulla deroga, Fioroni, dice: "Io chiedere la deroga? Sarà la direzione a decidere se rientro o meno nei criteri, mica la chiedo io. Ma prima che arrivino a me ce ne vuole, ho solo 15 anni e 8 mesi qui dentro". D'Alema, Bindi, Marini, Finocchiaro. Da ieri la rottamazione è diventata bipartisan nel Pd. Bersani fa compagnia a Renzi.

2 - PD IN SUBBUGLIO, LITE SULLA ROTTAMAZIONE...
Giovanna Casadio per "la Repubblica"

Nel mirino ci sono anche loro, le due leader del Pd: Rosy Bindi, la presidente del partito, e Anna Finocchiaro, la capogruppo al Senato. Esperienza politica e carisma. Ma non saranno ricandidate in Parlamento, se non chiederanno la famosa deroga alla Direzione del partito, quella stessa che dovrà presentare D'Alema e che è al centro dello scontro con Bersani.

Il clima è surriscaldato. C'è aria di burrasca tra i Democratici, alle prese con la scelta di Veltroni - che darà l'addio al Parlamento - la "rottamazione" di Renzi e il pressing di Bersani per il ricambio. Da qui, la ritrosia di Finocchiaro e l'insofferenza di Bindi. In un corridoio di Palazzo Madama, di corsa tra una giunta del regolamento e l'aula da gestire sull'anticorruzione, Anna Finocchiaro sorride: «Io non chiedo deroghe».

La presidente dei senatori democratici è tranquilla, non vuole entrare nel gioco di chi si tira fuori e di chi no, di chi chiede e di chi pretende. «Sono a disposizione del partito, saranno i suoi organismi a decidere se sarò utile o meno ». Anche perché «non ho mai chiesto di essere candidata a nulla in vita mia». E scappa via, a fare quel lavoro parlamentare su cui ha accumulato 25 anni di esperienza. A Montecitorio freme invece Rosy Bindi. Ha giurato a se stessa e alla madre Melfi che, prima di parlare, si calmerà un po'. Racconta che la mamma l'ha svegliata dicendole: «Rosy, guarda che finora nessuno ha vissuto fino a 120 anni».

E lei: «Cosa vuoi di'?». «Che tu hai sessant'anni e non ne vivi altri sessanta, quindi sta' calma ». Deve però mordersi la lingua, fumantina com'è, e convinta che non si cede a Renzi e alla rottamazione. «Mi hanno chiesto persino se mi candido sindaco di Roma. Allora sì che sarei da trattamento sanitario obbligatorio». Prova ancora a scherzare: «Sono un po' ingrassata. Ora mi diranno: allora, va fuori». Intanto aspetta di discutere con Bersani.

Una rivoluzione generazionale è in atto nel Pd. Enrico Letta, il vice segretario annuncia: «Sono in Parlamento da nove anni e la prossima sarà la mia ultima legislatura ». Lo scontro si fa sempre più aspro. Roberto Reggi, il coordinatore della campagna del sindaco "rottamatore", canta vittoria: «Sulla rottamazione abbiamo vinto, ora non ci resta che aspettarli a uno a uno sulla riva del fiume».

La reazione dei bersaniani è dura: «Le parole di Reggi sono squallide e inaccettabili, si cavalca l'antipolitica per qualche voto in più» (Fassina); «Indecorosa questa caccia all'uomo» (Boccia). In serata i supporter di Bersani nella sfida per le primarie si riuniscono, non c'è D'Alema ma molti big. Ci si aspetta che il segretario dica qualcosa su chi resta e chi va: «La rottamazione svilisce il confronto nel paese, non è così che si risolvono i problemi degli italiani», esordisce. Franceschini, il capogruppo a Montecitorio, conclude:

«Sulle deroghe per i parlamentari si valuti il lavoro che hanno svolto». Oltre a Veltroni, Castagnetti e Livia Turco, non si ricandiderà Arturo Parisi: «Dodici anni sono stati anche troppi specie se penso agli ultimi 4 passati a pigiare bottoni a comando». Non chiederanno la deroga probabilmente Bressa, Treu, Garavaglia. Sarà la Direzione (120 membri più quelli di diritto, in tutto 180) a dover giudicare secondo l'articolo 21 dello Statuto,
a decidere chi sì e chi no.

Le deroghe possibili sono una trentina; chi non ha fatto tre mandati pieni (ovvero 15 anni) è ricandidabile. Antonello Giacomelli sottolinea l'importanza che i casi siano affrontati individualmente (nel 2008 ci fu il "listino" dei derogati). Gianni Cuperlo vorrebbe una direzione ad hoc per un dibattito serio sul ricambio. Ettore Rosato scommette che le deroghe saranno assai meno del previsto.

«Ci vogliono per chi rappresenta la memoria storica e per chi ha competenze come Morando», afferma Tonini. Luigi Zanda, vice capogruppo in Senato, difende Finocchiaro: «È la migliore parlamentare che abbiamo, questa discussione è assurda». Ma Roberto Zaccaria, ex presidente Rai, ricorda: «Basterebbe una legge elettorale che consente di scegliere per risolvere i problemi».

 

 

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