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ANDREA ZOPPINI E STEFANO LUCCHINI - IL FUTURO DELLE BANCHE
Donato Masciandaro per “il Sole 24 Ore”
stefano lucchini andrea zoppini 2
Unione Bancaria: leva o zavorra? Ovvero: ricorderemo i prossimi mesi come quelli in cui l’integrazione europea dell’industria bancaria farà decisivi progressi, oppure emergeranno sempre di più i limiti di essere ancora a metà del guado?
Se nell’area Euro si vuole iniziare col piede giusto il cammino verso una nuova normalità monetaria e bancaria, il lavoro di Lucchini e Zoppini è mappa utile ed interessante. Il titolo del libro evoca il futuro delle banche. Ma il suo nocciolo duro è quello dell’analisi di quello che sta accadendo, e potrebbe accadere, nella dinamica tra regolati e regolatori, in particolare tra banche e Bce. Sotto i riflettori è insomma il ruolo di regolamentazione e vigilanza, a cui non ha caso è dedicato il sotto titolo del volume.
STEFANO LUCCHINI ANDREA ZOPPINI - IL FUTURO DELLE BANCHE
Il libro intreccia con equilibrio conoscenze e sensibilità di natura sia istituzionale che giuridica, dati i profili degli autori. Ma ha un merito in più: poichè non propone piatti precotti, ma tutti gli ingredienti per comprendere quali sono le sfide aperte, ciascuno può cucinarli nella prospettiva che più gli piace.
Se si sceglie l’analisi macroeconomica, e l’idea che il futuro dell’Unione Bancaria non dipenderà né dagli studiosi, né dai supervisori, ma dai politici, allora si può prospettare anche una ulteriore chiave di analisi, che integra e valorizza quella del libro: l’atteggiamento che prenderanno le classi politiche nazionali rispetto al ruolo che lo gli interessi sovrani devono avere nell’indirizzare il disegno delle regole bancarie europee.
Nel panorama internazionale due sono le visioni che si contrappongono: il nazionalismo liberale e quello sovranista. Sono due visioni opposte, che hanno in comune solo il punto di partenza: la stabilità del sistema bancario nazionale è un bene pubblico, che la politica ha il dovere di tutelare. Proviamo a ricordarne i tratti salienti.
stefano lucchini andrea zoppini
Da un lato vi è il nazionalismo liberale, in cui l’aggettivo “nazionale” tra tre connotati: si declina solo in termini generali; su un orizzonte di medio-lungo periodo; è perseguito utilizzando come strumento l’efficienza.
Il decisore politico viene considerato un soggetto che massimizza il bene pubblico, avendo un orizzonte temporale esteso, ed utilizzando come strumento la ricerca della competitività in tutti i mercati, incluso quello bancario.
Il pilastro del nazionalismo bancario liberale è che una industria bancaria strutturalmente efficiente e stabile finisce per essere un gioco a somma positiva per il Paese, in quanto crea valore per tutti i soggetti interessati – risparmiatori, azionisti, bancari e banchieri, contribuenti. L’efficienza si misura dalla capacità di creare valore, ed ha come presupposto il fatto che nessuno dei soggetti interessati prima ricordati è discriminato, ma neanche privilegiato. Vale cioè il principio di pari opportunità.
stefano lucchini andrea zoppini
Se l’economia è aperta, quindi più Paesi interagiscono tra loro – come è il caso dell’Unione Europea – sono due le principali conseguenze di tale prospettiva. Nel disegno delle regole, al crescere del numero degli esecutivi liberali, la definizione di norme coerenti con l’interesse dei cittadini può essere condivisa anche in sede internazionale: il nazionalismo liberale tende cioè ad essere globalista, in quanto i criteri di efficienza, se declinati in termini generali e sistematici, possono essere condivisi.
Prendendo ad esempio il principio dei vantaggi comparati della specializzazione, la sua applicazione condivisa fa stare meglio tutti i Paesi che lo applicano. Un ulteriore riflesso dell’approccio liberale è che le autorità di regolamentazione e controllo – come le banche centrali – devono essere indipendenti, proprio per garantire una politica bancaria orientata al lungo periodo e basata sulla ricerca dell’efficienza.
La visione liberale e globale è stata però messa in crisi dalla Grande Crisi del 2008, facendo emergere – o meglio riemergere – il nazionalismo sovranista. Una analisi empirica relativa a venti Paesi avanzati nel periodo tra il 1870 ed il 2014 mostra infatti che le crisi finanziarie appaiono infatti sistematicamente tende a far allontanare gli elettori dai partiti tradizionalmente al potere, favorendo il consenso per le posizioni più estreme. Nel nazionalismo sovranista l’aggettivo “nazionale” è invece applicato in maniera selettiva e discriminatoria – il soggetto “nazionale” deve essere privilegiato rispetto al “non nazionale” – ed in ogni situazione, anche congiunturale. Per cui la politica sovranista tende ad avere sia un effetto redistributivo che un orizzonte di breve periodo.
Essendo la natura discriminatoria l’elemento qualificante della politica sovranista, nel perimetro bancario possono essere – a seconda delle situazioni – “nazionali” i depositanti – o una parte di essi – ma anche gli azionisti, oppure i lavoratori e manager, o l’azienda – cioè la banca – tout court, ovvero gli stesso supervisori. Riguardo ai supervisori, però, non devono essere indipendenti, dovendo la loro azione essere guidata dal governo in carica, l’unico soggetto che di volta in volta può determinare quali e dove siano gli interessi nazionali da proteggere.
Quanto più un governo sovranista intende mettere in atto una politica – inclusa quella bancaria e monetaria – che deve essere redistributiva e di breve periodo, tanto più è probabile che non gradisca le burocrazie indipendenti, incluse le banche centrali. Tra il 2018 ed il 2019 in Paesi i cui i governi sono stati “indiziati” di sovranismo – Stati Uniti, Italia, India, Turchia – si sono registrati conflitti tra l’esecutivo e la banca centrale.
Nella regolamentazione bancaria, al crescere del numero dei governi sovranisti, sarà più arduo individuare norme internazionali condivise, visto che ciascun governo avrà come priorità gli interessi immediati di una o più categorie di consumatori e/o produttori nazionali. Il nazionalismo sovranista tende a coincidere con l’isolazionismo. In questo senso è stata ad esempio interpretato la scelta del governo ungherese di non aderire ai meccanismi europei di vigilanza bancaria unificata.
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Infine, sia l’approccio liberale che quello sovranista devono essere integrati con l’analisi politica dei costi e benefici. Perché non è necessariamente vero che il governo in carica massimizza il benessere collettivo in un orizzonte di lungo periodo. Anzi: il nazionalismo bancario, sia esso liberale o sovranista, viene definito dai politici in carica, il cui obiettivo può essere semplicemente la massimizzazione del consenso. Quindi, abbiamo una bussola per valutare quello che le classi politiche faranno nei prossimi mesi: ci sono due poli opposti – liberale e sovranista, cioè l’ideologia – e l’importanza del consenso, cioè le scadenze elettorali. Staremo a vedere quali saranno le conseguenze sul futuro dell’Unione bancaria.
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Costruire bussole: è questa la missione degli studiosi. Concretamente: occorre offrire approfondimenti che consentano di meglio comprendere quella che è l’analisi dei costi e dei benefici degli attori in campo: politici, supervisori, intermediari e mercati, imprese e risparmiatori. Lucchini e Zoppini ci danno la loro di bussola, mettendo sul proscenio i rapporti tra le Bce e le banche, ed il loro futuro. Buon vento.
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