RIUSCIRÀ MATTEO SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE…
Eleonora Micheli per Sole 24 Ore
Se l’operazione di acquisizione di Moncler da parte di Kering andrà in porto, la società del piumino diventerà un vero e proprio caso di scuola per la Borsa e la moda italiana. La società, che a inizio anni 2000 era praticamente quasi scomparsa, oggi macina oltre un miliardo di fatturato. Per l’esattezza ha chiuso il 2018 con un giro d’affari di 1,42 miliardi di euro(+22%), un utile netto di 332,4 milioni (+33%) e una cassa per oltre 450 milioni di euro.
I conti del 2019 sono in ulteriore crescita e in Borsa la capitalizzazione sfiora gli 11 miliardi di euro. Come se non bastasse, nei giorni scorsi Remo Ruffini, numero uno del gruppo, oltre che principale azionista con una quota del 22,5% delle azioni, a Londra, al Fashion Awards 2019, è stato premiato come business leader del 2019.
La società è stata fondata nel 1952 a Monestier-de-Clermont, località sciistica vicino Grenoble, da René Ramillon, artigiano di attrezzature da montagna francese, e André Vincent. Il nome stesso è l'acronimo di Monestier de Clermont. In 67 anni di storia ha conosciuto successi e anche periodi di magra, tanto da rischiare il fallimento. Se inizialmente produceva sacchi a pelo, si è specializzata poi nella realizzazione di piumini tecnici per l’alpinismo tanto da diventare fornitrice ufficiale della squadra francese di sci. E' diventata pop negli anni ’80, quando i piumini colorati diventarono l'oggetto di culto dei paninari.
Nel ’92 è passata sotto il controllo italiano di Fin.part, la società presieduta da Gianluigi Facchini, che attraverso Pepper Industries, controllava anche altri marchi come Henry Cotton’s, Marina Yachting e Boggi, Cerruti, Maska e Frette. Quando la finanziaria di Facchini è stata vicina al crac, è entrato in scena Remo Ruffini, che all’epoca era direttore creativo e manager delle aziende del gruppo. Nel 2003 il creativo comasco ha deciso di entrare nel capitale di Moncler, rilevando il 51% del capitale. Rimase nel capitale anche la Pepper Industries con il 25%, che però poco dopo fallì.
Così i marchi di moda sono passati nelle mani di Brands partners, di proprietà della Mittel di Giovanni Bazoli, di Ruffini e di pochi altri azionisti finanziari. Da quel momento è iniziato il rilancio di Moncler, che anno dopo anno ha registrato considerevoli tassi di crescita, tanto da entrare nel radar di un grande fondo di private equity come Carlyle che nel 2008 ha acquistato una quota del 48% per oltre 400 milioni di euro. All’epoca Ruffini deteneva il 38% del capitale e la società macinava circa 290 milioni di ricavi.
Nel 2011 ha tentato la quotazione a Piazza Affari, ma con un colpo di scena il progetto fu bloccato, mentre il 45% del capitale finì in Francia, nei forzieri del fondo francese Eurazeo, che sborsò oltre 400 milioni di euro. Nella compagine azionaria erano presenti Remo Ruffini (32%), il fondo Carlyle (18%) e al fondo Progressio Investimenti (5%). L
Nel 2013 l’approdo a Piazza Affari
Lo sbarco in Borsa è avvenuto 2013, con i titoli che il primo giorno guadagnarono subito quasi il 50% rispetto al prezzo di collocamento di 10,2 euro. Oggi hanno superato i 42 euro. Nel frattempo, i fondi Carlyle e Eurazeo sono completamente usciti dal capitale, lasciando il posto a grandi investitori istituzionali. Da Consob risulta che Morgan Stanley, Blackrock e Invesco Ltd detengono ciascuno il 3% del capitale. Da inizio anno le Moncler hanno guadagnato il 51% circa, nonostante la frenata di settembre, provocata dai timori per la delicata situazione a Hong Kong.
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