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Giorgio Meletti per il “Fatto Quotidiano”
Due cose vanno dette sull' esordio in Borsa di Poste Italiane. La prima è che le azioni, vendute la settimana scorsa a 6,75 euro l' una, hanno chiuso ieri la prima giornata di contrattazioni fissando il prezzo di 6,7 euro (- 0,74 per cento), dopo scambi intensi per un controvalore di circa 650 milioni. Sono cioè passate di mano un quinto delle azioni appena vendute dallo Stato. E qui arriva la curiosità che coloro che sanno non vogliono mai soddisfare: perché c' è gente che, poche ore dopo aver comprato azioni a 6,75 euro, sente l' insopprimibile bisogno di venderle a 6,65 (prezzo minimo di ieri)?
Due le possibili risposte: o la Borsa è frequentata da idioti (molti e con molti soldi da buttare) oppure è un mondo opaco in cui, coperte dalle fanfare del trionfalismo di maniera, avvengono cose indicibili.
La seconda cosa riguarda la politica del governo e il rapporto tra Borsa ed economia.
Dicono tutti e da sempre (economisti, imprenditori e leader politici, nessuno escluso) che l' industria italiana è troppo dipendente dal credito bancario e dovrebbe rifornirsi di capitali in Borsa per dare carburante a investimenti e sviluppo. È vero.
L' ultimo dato pubblicato da Consob dice che nel 1941 (a guerra iniziata) il valore totale delle azioni quotate era il 28 per cento del Prodotto interno lordo, nel 2011 era il 29 per cento. Siamo fermi a 70 anni fa. Dal 2001 al 2014 il numero di società quotate è cresciuto da 282 a 285.
Negli ultimi 18 mesi le piccole e medie imprese che sono andate in Borsa hanno raccolto 544 milioni di capitale fresco. Nel 2014 società grandi e piccole entrate in Borsa sono riuscite a farsi dare dal mercato 2,9 miliardi. Poi arriva il governo e aspira dal mercato finanziario 3,4 miliardi vendendo il 35 per cento delle Poste: capitali attratti dalla (presunta) sicurezza dell' investimento e che non finanzieranno investimenti, ma solo la tanto deprecata spesa pubblica. Come i Bot e i Cct.
Così il governo Renzi aiuta le amate piccole imprese, quelle che dovrebbero crederci.
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