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Carlo Di Foggia per “il Fatto Quotidiano”
E sono due: mentre Moncler è ancora sotto choc, ieri è toccato a Gucci passare ai raggi x di Report. E per la storica azienda fiorentina – dagli anni 90 nelle mani del gigante francese Kering – l'operazione non è stata indolore : niente delocalizzazione, stavolta la trasmissione di Milena Gabanelli si è concentrata su fornitori e sub-fornitori italiani della mai-son di moda, mostrando le condizioni di alcuni laboratori in Toscana, da anni meta delle produzioni dei grandi marchi.
Risultato? Una borsa che in vetrina costa oltre 800 euro, viene realizzata dagli artigiani a meno di 30: 24 precisa alla giornalista Sabrina Giannini, Aroldo Guidotti, un subfornitore di Scandicci che fa assemblaggio e tinta per i fornitori di primo livello (che incassano milioni semplicemente appaltando il lavoro).
A OGNI BORSA – stando alla versione riportata da Report – manca quindi il 30 per cento del valore. “E se moltiplicate 6-7 euro per mille borse arriviamo a 60-70 mila euro in meno per l'artigiano”, continua Guidotti, moderno Caronte che ha deciso di traghettare le telecamere della Gabanelli attraverso l'esasperazione dei distretti tessili del fiorentino, vittime di una feroce politica di contenimento dei costi: “L’alternativa era chiudere o rimanere dentro per dimostrare che c’è questo sistema e viene usato anche da Gucci”. E così è stato.
Stando alle immagini, il meccanismo coinvolge decine di lavoratori cinesi: “Non c'è bisogno di fare Sherlock Holmes per vedere che alle 11 di sera a Scandicci ci sono fabbriche e laboratori illuminati dove lavorano i cinesi. Io stesso li ho assunti a 4 ore ma loro ne lavorano almeno 16. È questo il gioco che ci sta ammazzando. I cinesi lavorano 150 ore più di quelle segnate”, confessa Girotti, che ha un socio occulto cinese e rivela: “All’interno dell’azienda ci deve essere solo il prestanome italiano. Un paravento” . “Se ci dessero 2-3 euro in più a borsa, potremmo risollevarci”, si sfoga un'artigiana schermata in volto.
Ieri, il botta e risposta tra la società e la trasmissione è rimbalzato sui tutti i siti, coinvolgendo il presidente della Regione Enrico Rossi. Il tutto mentre la rabbia invadeva i social network, frequentati dai potenziali clienti di Gucci. Rossi è stato tra i primi a replicare: “La Toscana è in prima linea contro la contraffazione. Gucci ha un accordo con sindacati e istituzioni per il controllo della filiera”. Ancora più dura l'azienda: “Telecamere nascoste o usate in maniera impropria, solo in aziende selezionate ad arte (3 laboratori su 576), non sono testimonianza della realtà”.
Nel pomeriggio è arrivata la replica della Gabanelli: “Più che dissociarsi dovrebbero ringraziarci per aver documentato quello che avrebbero dovuto fare i loro ispettori”. Durante la puntata, infatti, si vede un controllore di Gucci non fare una piega di fronte alle irregolarità denunciate da Guidotti.
Con una punta di sarcasmo Report ha poi sottolineato che “da anni Kering garantisce una filiera etica e controllata grazie alla certificazione SA8000 sulla responsabilità sociale, rilasciata dagli americani di Saas”. Che ora – ha continuato la Gabanelli – “devono decidere se continuare a certificarli”. L’ipotesi non è remota.
Negli anni scorsi all'americana Nike venne ritirato il certificato (che impegna anche i sub-fornitori) perché sorpresa a fa cucire palloni ai bambini cinesi . Curiosamente l'Italia vanta il record di aziende certificate: 1064 su 3388, la maggio parte – oltre 300 – proprio in Toscana, la prima regione al mondo. Motivo? Gli sgravi Irap e i contributi pubblici erogati alle aziende che ottengono il prezioso documento. Si è così scatenata la corsa all’oro che ha garantito il primato. Gucci, però, a differenza di Kering l’ha ottenuto solo nell'aprile scorso.
“L'azienda non ha preso soldi pubblici – spiegano dagli uffici di Fabbrica Etica, l'ufficio regionale che gestisce i bandi – ma i suoi fornitori sì. I controlli non spettano a noi ma a chi ha dato la certificazione (la Saas, ndr), noi verifichiamo il rispetto dei bandi poi aziende ed Enti hanno i loro controllori”. Come si spiega il record? “Qui non ci sono solo i cinesi di Prato e comunque Gucci ha fatto tanto per la qualità della filiera”. Il frastuono non ha invece sfiorato Kering.
Ieri il colosso della moda del magnate François-Henri Pinault – che in Italia controlla Bottega Veneta, Sergio Rossi, Brioni e Pomellato – ha perfino chiuso la seduta in positivo: più 0,77 per cento a 165,8 euro. Eppure Gucci – 3,6 miliardi di fatturato – assicura ai Francesi margini superiori al miliardo e rappresenta il 30 per cento del fatturato.
Gli utili finiscono nella controllata in Olanda, dove le tasse sulle royalties sono un terzo di quelle italiane. Paradossalmente, il recente licenziamento sia dello storico direttore creativo Frida Giannini, sia dell’ad – nonché compagno della Giannini – Patrizio Di Marco (per i due si parla di un approdo in Cavalli) ha turbato il sonno degli investitori più di Report.
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