ROMA CAPUT HARLEY: IL “GIUBILEO” DELLA BICILINDRICA INVADE LA CAPITALE

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1. A ROMA TUTTE LE HARLEY DEL MONDO
Massimo Numa per "La Stampa"

Da quando il regista di origine indiana Sam Peckinpah dedicò un film a una Electra Glide con la livrea della polizia californiana, sono passati ormai decenni. Era il 1973 e le immagini di quella moto, piegata sull'asfalto reso quasi liquido dal calore, il lieve e irregolare ticchettio dell'olio rovente che scivola lento nei carter, non appena si chiude il contatto, sono ormai - per molti - il simbolo più melanconico e struggente di un amore irrazionale, legato a molte sfumature di bianco e di grigio, prima di arrivare al nero, che unisce uomini e donne a tutte le Harley Davidson.

Fu anche la moto dei ragazzi poveri, i militari in congedo della Seconda Guerra Mondiale, acquistate per pochi dollari, appena radiate dallo Us Army; dopo cambiavano volto e colori, sino a costringere il marchio a creare nuovi modelli in base alle fantasie folli di quegli antichi pionieri.

Melville inizia il «Moby Dick» con decine di pagine di cetologia prima di arrivare alla taverna di Nantucket dove inizia il grande romanzo della Balena Bianca. Così il vice-vice bibliotecario, per spiegare la festa per i 110 anni del bicilindrico, dovrebbe puntigliosamente ricostruire quando fu progettato e dove nacque, come si comportò, in grigioverde, nelle paludi della Prima Guerra mondiale, nei camminamenti desertificati dagli obici del fronte europeo, dove si immolarono migliaia di soldati nordamericani.

Nel primo dopoguerra, il motore subì una serie di infinite variazioni tecniche, spesso minimali, senza mai perdere l'imprinting originale, che sopravvive ancora oggi. Ma il corpo della moto, come quello di una ragazza comunque bella incurante delle mode, via via modificava le forme, le rotondità, i fregi e le cromature, in gara perenne con i modelli della rivale Indian.

Quanto ancora da scrivere, da raccontare. Per innamorarsi ancora una volta. Forse l'ultima prima di andarsene via per sempre. Le grandi moto e la piccola 883, nata nel 1957, la risposta Usa alle due ruote europee, le inglesi Bsa, Norton, Triumph, le italiane, Mv e Ducati. Le inglesi le cavalcava Marlon Brando, le Hd dominavano nei film seriali sul mondo dei biker: episodi violenti,le gesta degli Hell's Angel e dei moto-club storici.

Faceva effetto, in allora, scoprire che le moto dei Chips, California Highway Patrol, nei telefilm, erano «anche» Kawasaki. Sembrava un sacrilegio. Centodieci anni dopo, si celebra la ricorrenza a Roma. Saranno oltre 100 mila i bikers provenienti da tutto il mondo, 40 mila in sella alla bicilindrica nata nel 1903 in una piccola officina di Milwaukee, Wisconsin.

Il Comune di Roma ha mobilitato 1.700 vigili per tenere sotto controllo l'interminabile corteo di moto. In programma eventi, spettacoli e attività previste tra un «Villaggio Foro Italico», intorno allo Stadio Olimpico e un «Harley Village» nel Porto di Ostia, già inaugurato da migliaia di seguaci del marchio. Papa Francesco, invidiatissimo, ha ricevuto in regalo due motociclette e domenica una rappresentanza di biker parteciperà all'Angelus del Pontefice, ricevendo la benedizione. Oggi, in 200 assisteranno alla messa delle 10,30.

Domani la parata lungo le vie del Centro sino Vaticano. Oggi il meeting con gli eredi dei fondatori, Bill Davidson e Willy G. Davidson. Domani fiaccolata in via della Conciliazione. Tremila moto dal Porto di Ostia sfileranno divise per gruppi di 550 centauri, sino allo stadio dei Marmi.


2. «È L'UNICA MOTO CHE TI FA VIVERE IL MONDO CHE ATTRAVERSI»
Davide Jaccod per "La Stampa"

Max Pezzali dalla moto sembra non essere sceso mai. I vent'anni di musica li festeggia in sella, con «Max 20», disco che a cinque inediti affianca tanti suoi successi cantati insieme a colleghi e compagni di viaggio.

La sua passione per la moto è solitaria? Partecipa a raduni e incontri?
«I raduni mi piacciono, eccome. Vado spesso in Carinzia, dove ogni anno c'è un incontro e dove arriveranno anche questi festeggiamenti. E il centenario, 10 anni fa, l'ho vissuto ad Amburgo. Questa è una moto che ti immerge nel luogo che attraversi. Ne diventa parte: non è un missile che va da un luogo a un altro, è un modo per vivere il presente più che la destinazione».

Perché il mito Harley è riuscito a sopravvivere così a lungo?
«È una passione irrazionale, intensa: nessun'altra moto riesce a portare a quel livello il coinvolgimento. La Harley è riuscita a evolversi pur rimanendo se stessa. C'è la sua voce inconfondibile, ma anche i segni di un mondo che cambia: ho imparato ad accettare l'elettronica, l'iniezione o l'Abs».

Lei che modello usa?
«Ne ho tre, ma quella su cui vado di più è una Electra Glide del 2001. È come un animale domestico, anzi, come un parente».

E nel nuovo disco le moto ci sono?
«Alla fine ogni canzone passa da lì. Quando incontro un blocco, un giro in moto è il modo migliore per staccare con la testa, andando a trovare quello che serve per andare avanti».

 

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