SALUTI E BEZOS ALL’EVASIONE ON LINE: AMAZON ACCETTA DI PAGARE LE TASSE E ANTICIPA APPLE E GOOGLE

Carlo Formenti per il "CorrierEconomia - Corriere della Sera"

Sono «stupita e compiaciuta di questa novità, peccato che arrivi tardi»: così la proprietaria di una catena di negozi per giocattoli, intervistata dal New York Times, commenta il fatto che il Congresso degli Stati Uniti si appresta ad approvare un provvedimento che obbligherebbe Amazon, e le altre società di ecommerce, a raccogliere le imposte sulle vendite, esattamente com'è sempre toccato fare a lei e agli altri titolari di imprese commerciali tradizionali.

Le Internet company hanno potuto operare per quasi vent'anni sotto esenzione fiscale, per il principio secondo cui occorreva impedire che le attività ad alto tasso di innovazione venissero soffocate sul nascere dalla concorrenza delle imprese fisiche. Ancora oggi, finché non verrà approvata la nuova legge, le società di ecommerce sono obbligate a versare le imposte solo negli Stati in cui dispongono di sedi fisiche, il che, per la maggior parte di esse, vuol dire nello Stato dove hanno la sede centrale.

Non è più il caso di Amazon, la quale dispone ormai di una fitta rete di magazzini in tutto il Paese per accelerare la consegna dei prodotti, al punto che molti Stati, fra cui il Texas e la California, avevano già avviato dei contenziosi con la società di Jeff Bezos per obbligarla a versare le imposte. Paradossalmente, e al contrario di altri giganti del commercio online come eBay, Amazon si è tuttavia dichiarata favorevole al nuovo regime.

L'opinione degli esperti è che tale «generosità» sia dovuta a tre motivi: primo, ha accumulato un vantaggio competitivo tale da metterla al riparo dalle minacce, per cui può permettersi di compiere una mossa che ne migliora l'immagine mentre in cui tutti accusano le web company di evadere sistematicamente il fisco.

Inoltre il suo modello di business scommette sempre di più sulla rapidità di consegna, piuttosto che sui prezzi, il che è possibile solo aprendo il maggior numero possibile di centri di distribuzione (e quindi trovandosi comunque nelle condizioni di dover versare le imposte negli Stati dove piazza queste filiali);

infine, la nuova legge potrebbe paradossalmente trasformarsi in un'ulteriore fonte di profitto, perché Amazon sembra pronta a sviluppare un servizio di raccolta delle imposte da versare per conto terzi (molte imprese online di medie dimensioni non sono attrezzate per risolvere autonomamente il problema).

È proprio quest'ultima circostanza a colpire di più, perché è la prova evidente di come il raggiungimento di certe dimensioni sia di per sé un enorme vantaggio competitivo. Una verità banale per l'economia tradizionale, ma contestata negli anni Novanta, quando l'economia di Rete muoveva i primi passi e i suoi guru profetizzavano la caduta dei vecchi monopoli, destinati a essere soppiantati dalle start-up.

Le esenzioni fiscali per le Internet company vennero motivate proprio con quel tipo di argomenti: occorreva impedire che i monopoli della vecchia economia impedissero lo sviluppo di nuovi modelli di business che avrebbero favorito i consumatori, riducendo i prezzi.

Peccato che le start-up, anche grazie a quelle esenzioni, siano cresciute tanto da divenire a loro volta monopoli. Adesso, come lamenta la venditrice di giocattoli, è troppo tardi per intervenire: se e quando sarà approvata, la legge che obbliga le Internet company a versare le imposte al pari tutte le altre, potrà fare poco per ridare ossigeno a migliaia di piccole e medie imprese commerciali.

 

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