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Vittorio Malagutti per il "Fatto quotidiano"
Licenziati, tutti licenziati. Se i padroni dell'azienda calcio, gente che si dà le arie del manager e pontifica di bilanci, fossero al timone di una qualunque azienda quotata in Borsa, sarebbero stati messi alla porta da un pezzo. E invece i capataz del pallone nostrano, gli organizzatori del grande spettacolo circense che per 11 mesi l'anno ipnotizza milioni di tifosi, stanno tranquillamente al loro posto.
Peggio: da tempo immemorabile si impegnano a fare del loro meglio per risanare quella che orgogliosamente definiscono "una delle principali industrie nazionali". E che nessuno si permetta di criticare il sistema. Altrimenti, come è successo ieri, lo Zamparini di turno prende a strepitare. E come dimenticare le arringhe di Adriano Galliani, l'amministratore delegato del Milan che ha guidato per anni anche la Lega calcio, la Confindustria del pallone?
Il problema è che i signori del calcio ripetono le stesse cose ormai da un ventennio. Nel frattempo il business pallonaro, da noi come in Inghilterra, in Spagna, in Germania, è letteralmente esploso. Nel senso che girano molti, ma molti più soldi, pompati nel sistema dalle televisioni.
Nel 1993 i ricavi dei 18 club di Serie A ammontavano a circa 30 milioni di euro. Nel 2001, dopo l'esplosione del fenomeno delle pay tv, siamo arrivati a 1,1 miliardi. E alla fine del campionato 2010-2011, l'ultimo di cui sono disponibili i dati, il monte ricavi ha sfiorato 1,7 miliardi. Bene, benissimo, se non fosse che i presidenti delle squadre si sono dimostrati incapaci di gestire questo fiume di denaro. Nel 2011 le venti squadre di A sono riuscite a perdere in totale circa 300 milioni. Dieci anni fa i conti del campionato erano in rosso di 110 milioni. In questo arco di tempo alcune grandi squadre, come Fiorentina e Napoli, sono fallite. Altre ci sono andate molto vicino, tipo Roma e Lazio.
Chi più perde (in bilancio), più vince, questa la regola aurea del calcio nostrano. Juve, Milan e Inter, i club che hanno conquistato gli ultimi scudetti, valgono il 30 per cento dei ricavi dell'intero campionato, ma il deficit dei loro conti è pari all'80 per cento del passivo totale della Serie A.
Questo non vuol dire che le società di taglia media e piccola siano degli esempi di buona gestione. Squadre come la Fiorentina dei Della Valle, il Genoa di Preziosi e il Siena di Mezzaroma nel 2011 hanno presentato bilanci in forte squilibrio seguiti da risultati men che modesti sul campo. La voce che da sempre pesa di più sui conti è quella del costo del lavoro, in sostanza gli ingaggi dei calciatori.
Nonostante i tagli degli anni scorsi, le 20 società del massimo campionato girano a calciatori e tecnici circa il 74 per cento dei loro ricavi. Le squadre inglesi arrivano al 63 per cento, quelle spagnole al 59 e i team tedeschi, in assoluto i meglio gestiti, si fermano al 51 per cento. Proprio dal confronto con le altre grandi nazioni europee emerge il disastro italiano.
à vero che anche le società spagnole e molte di quelle inglesi navigano in pessime acque, tra debiti e perdite. A livello di sistema, però, come spiega una ricerca presentata nei mesi scorsi dall'Uefa, le squadre della massima serie, sommate insieme, producono profitti in Germania, Inghilterra e Spagna. In Italia invece il campionato viaggia in perdita. Il problema più grave, almeno in prospettiva, è che dalle nostre parti il calcio è sempre meno popolare. Lo dimostrano il calo di presenze allo stadio.
In Serie A gli spettatori complessivi sfiorano i 9 milioni, all'incirca gli stessi di una decine di anni fa quando però le squadre del campionato maggiore erano 18 e non 20. Resta alta l'audience del calcio televisivo, ma scandalo dopo scandalo, il grande show del calcio parlato rischia di perdere pubblico.
E allora diventerà davvero difficile per le nostre squadre rispettare i severi parametri di bilancio, il cosiddetto fair play finanziario, introdotti dall'Uefa. Si comincia dal 2013-2014. Chi non è in regola resta fuori dalle coppe. L'Italia è in bilico. La Spagna pure. La Germania è un modello di efficienza. Anche nel calcio comandano i tedeschi.
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