
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
1- LA PARABOLA DI MARCHIONNE, DA "INNOVATORE SOCIALDEMOCRATICO" AD "ANTI-ITALIANO"
http://ilfattoquotidiano.it/2012/02/27/parabola-marchionne-innovatore-socialdemocratico"-"liquidatore-anti/193963/
Dalle fanfare che accompagnarono il suo insediamento al capo del Lingotto nel 2004, alla promessa di investire 20 miliardi nelle fabbriche italiane, fino al recente annuncio di voler chiudere altri due stabilimenti. In mezzo la battaglia contro la Fiom, i referendum "con la pistola puntata alla tempia" a Mirafiori e Pomigliano e la clamorosa uscita dalla Confindustria di Emma Marcegaglia.
Ecco le tappe principali della parabola dell'imprenditore in maglioncino, l'italo-canadese Sergio Marchionne: da âuomo nuovo' a liquidatore dell'industria del Belpaese. Sì, perché se solo otto anni fa il patron del Lingotto prometteva che la Fiat sarebbe tornata "ciò che è stata", oggi (come ha ribadito in un'intervista al Corriere) la partita per la sua sopravvivenza si gioca solo sulla capacità di "esportare negli Stati Uniti".
2004, LA SPERANZA. FASSINO: "LUI SÃ CHE Ã UN VERO SOCIALDEMOCRATICO"
"Fiat ce la farà e tornerà a essere quella che è stata". Così esordisce Sergio Marchionne, il giorno in cui il Cda della Fiat lo nomina nuovo amministratore delegato. à il primo giugno del 2004 e intorno all'homo novus si moltiplicano gli elogi sperticati. "Un manager indicato per capacità e professionalità da Umberto Agnelli" garantisce il presidente della casa automobilistica, Luca Cordero di Montezemolo. Italo-canadese, 52 anni, alla guida del gruppo svizzero Sgs, colosso delle certificazioni industriali, Marchionne ha fama di "manager operativo, specializzato in rilanci".
Sette giorni dopo la nomina, il nuovo ad visita Mirafiori e assicura "la priorità all'auto". Nel 2007, Giuliano Amato gli dà del "miracoloso"; Piero Fassino, futuro sindaco di Torino, appoggia la "sfida all'innovazione" e si dice pronto ad allearsi con Marchionne: "Lui sì - afferma fiducioso - che è un vero socialdemocratico".
2007, IL TRIONFATORE IN 500. IL PRIMO (E UNICO) MODELLO DI VERO SUCCESSO
Dopo il divorzio da General Motors, la popolarità del "maglioncino blu" del Lingotto sale ancora. "Così ci siamo ripresi la libertà ", annuncia festante nei primi mesi del 2005. Due anni più tardi si vanterà di aver tirato fuori la Fiat dal "periodo più buio della sua storia", ormai diventata così forte da "potersi comprare la Ford o la Gm". Prosegue pure la luna di miele con gli operai: "Non chiuderemo impianti in Italia" ribadisce in diverse occasioni poi mentre ritira la laurea honoris causa all'Università di Cassino promette di portare la produzione dell'Alfa 147 nello stabilimento ciociaro.
Il 4 luglio 2007 è il giorno della nuova 500: la piccola della Fiat "è la Fiat - spiega l'Ad - à più di un modello: è la storia dell'azienda, di Torino, del Paese". La 500 approderà anche oltreoceano: a distanza di tempo, "una cavolata", secondo quanto ha sostenuto Marchionne il 9 gennaio scorso, commentando il flop.
2009, l'incognita americana. "Non ho alcuna intenzione di guidare la Chrysler"
"L'interesse per Chrysler è zero". Detto fatto: mentre Barack Obama pronunciava il suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, Torino acquisiva il 35% del marchio automobilistico americano. Poi l'annuncio riparatore: "Non ho nessuna intenzione di guidare Chrysler. Non avrò alcuna responsabilità diretta nella gestione operativa".
Passa qualche mese e Marchionne è costretto a smentirsi di nuovo: "Sarò amministratore delegato di Chrysler", confida in un'intervista, sostituendosi a Robert Nardelli. Subito arrivano gli apprezzamenti del presidente degli Usa che definisce la Fiat "partner ideale" per la sopravvivenza della casa di Detroit che grazie all'accordo ottiene nuovi aiuti dal governo centrale. "à un momento storico per l'industria italiana, un passo avanti nell'impegno di gettare nuove basi per il futuro", replica Marchionne.
2012, IL LIQUIDATORE BARBUTO. "ASSURDO CONSIDERARMI UN ANTI-ITALIANO"
"Sono accusato di essere un anti-italiano. Sono accuse semplicemente assurde", tuonava l'ad di Fiat lo scorso novembre. E da quel momento è un continuo di effusioni con il Belpaese: "Dobbiamo privilegiare il luogo dove la Fiat ha le proprie radici - ha detto Marchionne presentando la nuova Panda - Pomigliano è la nostra migliore fabbrica al mondo, è il simbolo delle nostre promesse mantenute".
Nuovo look, via gli occhiali pesanti di fine 2011, tornano quelli senza montatura, ma c'è anche la barba e talvolta una vezzosa sciarpa colorata. Marchionne esulta per l'arrivo di Mario Monti (negli Usa) anche se pare che i rapporti tra i due non siano idilliaci. à in prima fila al Peterson Institute quando il premier è in visita in America. Dell'Italia gli importa ormai poco, ma si spende a favore di Alberto Bombassei, candidato alla presidenza della Confindustria.
2- ADESSO TOCCA A MARCHIONNE: GLI ANTI CAV CAMBIANO NEMICO
Roberto Scafuri per "il Giornale"
Uno spettro si aggira per lo Stivale, da Mirafiori a Pomigliano, da Melfi a Termini Imerese. Un incubo per i sonni del sindacato e della sinistra italiana. à lo spettro del «marchionismo», segnale d'allarme che rintocca come una campana, più che come una sirena di fabbrica.
Nell'era della comunicazione, il «marchionismo» s'impersona in un simbolo altrettanto controverso e spiazzante, quello di un manager che ha buttato alle ortiche grisaglie e orologi sul polsino per imbracciare maglione, sciarpone e persino (talvolta) barbone grigio come autentiche armi di distruzione di massa.
La massa delle certezze assodate e del quieto vivere. All'italiana.
Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Auto e Crysler, è anche il nuovo pericolo pubblico numero uno della sinistra italiana. In questo senso prende il posto lasciato libero da Silvio Berlusconi, e sarà interessante capirne il perché. «Molti nemici molto onore», fu il motto dell'orgoglio mussoliniano. Ma se i nemici sono pressappoco gli stessi, sarà facile scoprire solide uguaglianze tra gli oggetti di tanta «premura». Tra i destinatari di un rinnovato odio di classe.
Ma il «caso Marchionne» deve per forza di cose partire dalla sua peculiarità , dall'esistenza di un «Marchionne uno», coccolato e vezzeggiato dalla medesima sinistra negli anni che vanno dal suo arrivo al volante della Fiat, 2004, fino più o meno al 2009. Un lustro di autentica luna di miele, durante il quale il Nostro - calatosi a capofitto nel salvataggio di un'industria «tecnicamente fallita» - riuscì a meritarsi una serie di autentici privilegi (che mancarono, in effetti, al «Berlusconi ante-politica»).
Fausto Bertinotti fu tra i più entusiasti nel tracciare la direzione di marcia: «Dobbiamo puntare ai borghesi buoni. Marchionne parla della risposta ai problemi dell'impresa, non scaricando sui lavoratori e sul sindacato, ma assumendola su di sé». Piero Fassino lo salutò come «vero socialdemocratico», il sindaco torinese, Chiamparino, lo elesse a compagno di scopone scientifico, Prodi lo definì «un grande», D'Alema e Veltroni nel suo nome trovarono inopinati momenti di unità .
Quanta fretta, quanta distanza con le parole che da mesi risuonano ogni qualvolta l'Amerikano (scritto con il redivivo «cappa») si produce in interviste e, soprattutto, fatti. Decisioni che scardinano, a giudizio unanime, l'intero modello di relazione industriale. Lo stesso Bersani, uno da frasi fatte che arrivano a cose fatte, ora dice di essere «preoccupato alla grande». L'ex cultore Fassino, adesso sindaco torinese, si augura che quelle dell'Uomo Fiat «siano solo suggestioni».
E non esita a pretendere, con quella riconosciuta vis graffiante che sfoggia quando parla di casa Fiat, «che il gruppo dia un quadro di certezze: lo chiedo tutte le volte che parlo con Marchionne». Ma lui, evidentemente, non se ne avvede e non risponde. «La modernità di Marchionne puzza di Medioevo», chiarisce Nichi Vendola, in conformità con il giudizio del responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. «Marchionne calpesta la dignità dei lavoratori, sta scrivendo le pagine più buie del mondo del lavoro nel nostro Paese», tuona il comunista Diliberto. Antonio Di Pietro sostiene che usa «i lavoratori come capro espiatorio», il socialista Bobo Craxi incita allo sciopero: «à un despota, fa ricatti da neocapitalismo primitivo».
Questo per non dire ciò che pensano e dicono, di Lui, le sue controparti per così dire «naturali», Susanna Camusso e Maurizio Landini, capi di Cgil e Fiom.
Cose non sempre riferibili. Insofferente della vetusta macchina burocratico-politico-clientelare dell'industria italiana, il personaggio penetra nella burrosa sinistra italiana con sottile voluttà (in un'intervista al canale Bloomberg ebbe a crogiolarsi di quanto fosse «un piacere solido lavorare in un mercato flessibile come gli Usa»). Di sicuro ama far discutere, utilizzando come gatto con topini una comunicazione moderna, che autorevoli commentatori definiscono «a carciofo».
Significa «mettere sul piatto una foglia per volta, così si discute della parte, non del tutto». Manager formatosi all'estero, laurea in filosofia, in pratica un «marziano» piovuto dal cielo sul mondo dei minuetti interminabili, dei lacci e lacciuoli, del detto e non detto. Un «contro-italiano», secondo Sergio Romano, uno che parla chiaro e diretto, rifiutando il - per così dire - «teatrino dell'economia». Espressione che dovrebbe ricordarci qualcosa, e qualcuno.
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