1. “SUICIDATO” DALLA RETE? LA RAGIONE DELL’”INSANO GESTO” DI DAVID ROSSI, EX BRACCIO DESTRO E AMICO INTIMO DI MUSSARI, è FORSE NASCOSTA NELLE PAROLE DI UN AMICO DEL DIRIGENTE SENESE, RIPORTATE DAL “CORRIERE DELLA SERA”: “CI SIAMO VISTI GIOVEDì. ERA TURBATO PARECCHIO. UN TARLO AVEVA COMINCIATO A FARSI STRADA. POCHI MESI FA AVEVA PERSO IL PADRE, “ANCHE DI QUESTO SI LAMENTAVA: DICEVA CHE IL SUO BABBO ERA STATO MOLTO MALE PER VIA DEGLI ATTACCHI CHE APPARIVANO IN FORMA ANONIMA SULLA RETE”. VOCI ANONIME, INCONTROLLATE,PETTEGOLEZZI VELENOSI. INVECE DAVID PENSAVA SPESSO ALLA SUA BANCA, ALLA MOGLIE ANTONELLA, ALLA CONTRADA DELLA LUPA” 2. DI CERTO, TUTTO E’ PRECIPITATO NEGLI ULTIMI GIORNI DOPO LA PERQUISIZIONE SUBITA 3. L’ULTIMO TWEET: “NO, NON CREDO NELL’ALDILà. NON ESISTE NIENTE DOPO LA MORTE”

1. DAVID ROSSI, IL LAVORO CON MUSSARI 
E QUELLE ACCUSE ANONIME APPARSE SULLA RETE
Fabrizio Massaro per Corriere della Sera

Il suo telefono era sempre a disposizione dei cronisti, di quelli finanziari che seguono le vicende del Montepaschi, e di quelli senesi che gli chiedevano qualsiasi cosa, perché a Siena «Babbo Monte» era tutto. Ma era normale che David Rossi, il portavoce della banca senese, non rispondesse subito. Erano in tantissimi a chiamarlo, specialmente da quando era deflagrato lo «scandalo Montepaschi».

Rigoroso, talvolta freddo e severo nel criticare quelle ricostruzioni giornalistiche che a suo dire erano troppo romanzate («Tirate sempre in ballo la massoneria, voi... è sempre buona per condire un pezzo!»), ma altrettanto disponibile. Anche ieri sera dopo le 19 il suo cellulare ha squillato per una chiamata del Corriere . A vuoto, purtroppo. Un'ora e mezza dopo ha deciso di gettarsi nel vuoto dalla finestra interna del suo ufficio a Rocca Salimbeni, la sede della banca più antica del mondo.

Per Siena, dove tutti lo conoscevano per via della sua antica militanza giornalistica al «Cittadino» nei primi anni Novanta - dove pubblicò le liste dei massoni cittadini - e poi come portavoce storico di Giuseppe Mussari prima alla Fondazione Mps, dal 2001, e poi alla banca, dal 2006, è uno choc.

Nel mezzo della più grande crisi aziendale che si ricordi nella storia recente italiana aveva tenuto la barra della comunicazione: con l'amministratore delegato Fabrizio Viola e il presidente Alessandro Profumo aveva elaborato una strategia che si era rivelata vincente per scongiurare l'esito più nefasto, l'assalto dei depositanti agli sportelli che a un certo punto - l'ha ammesso lo stesso Viola - si era cominciato a intravedere.

«Ai miei capi ho detto: è inutile inseguire i giornali, sono troppi, scrivono troppe cose, non possiamo stargli dietro», spiegava ai colleghi, «meglio andare sulle tv, alla Rai, su Sky, a spiegare davvero che cosa sta succedendo, a rassicurare i clienti, le persone». Era questo che ricordava fino a poco tempo fa.

Aveva anche messo in piedi una «situation room» per gestire la comunicazione di crisi, di cui andava soddisfatto e che aveva riscosso il plauso dei nuovi vertici della banca. Lui che da storico dell'arte medievale si era reinventato esperto di comunicazione bancaria e finanziaria.

Proprio ieri sera Profumo e Viola, entrambi a Milano, erano sgomenti. Oggi si precipiteranno a Siena per capire meglio che cosa sia successo, i perché del gesto di Rossi, a cui avevano rinnovato e confermato «la fiducia assoluta» anche dopo la perquisizione che David aveva subìto lo scorso 19 febbraio in ufficio e anche a casa da parte della Guardia di Finanza su ordine dei pm di Siena che indagano sulla vicenda Antonveneta e sui buchi causati dai derivati nella gestione di Giuseppe Mussari e Antonio Vigni.

Non era indagato, i magistrati lo avevano chiarito fin da subito. E lo stesso Rossi si mostrava tranquillo: «Ma secondo te se avevo qualche problema stavo ancora qua?», ripeteva. Anche i colleghi che l'hanno visto fino a ieri pomeriggio non hanno notato nulla che facesse presagire un tale turbamento.

Eppure da quel giorno qualcosa in lui è cambiato, raccontano gli amici. Così lo ricorda David Taddei, suo socio ai tempi di Freelance, la prima agenzia di comunicazione che avevano insieme creato a Siena nel 1996: «Era turbato, parecchio. Ci siamo visti giovedì, si è aperto un poco, lui che era così riservato. "Ho sempre pensato di avere fatto il mio dovere", raccontava, "ma poi quando ti succedono queste cose ti chiedi se hai fatto bene le cose". Io lo rassicuravo: hai la coscienza a posto? E allora? Guarda, lo conoscevo da oltre vent'anni ed era tra le persone più corrette e oneste che abbia mai conosciuto». Eppure. Un tarlo aveva cominciato a farsi strada. 
Pochi mesi fa aveva perso all'improvviso il padre, «anche di questo si lamentava: diceva che il suo babbo era stato molto male per via degli attacchi che apparivano in forma anonima sulla Rete». Voci anonime, incontrollate, pettegolezzi velenosi. Invece David pensava spesso alla sua banca, alla moglie Antonella, alla contrada della Lupa. E, dopo essersela presa, rideva dei pezzi troppo fantasiosi.


2. DALL'ANTONVENETA ALLA BANDA DEL 5% L'INCHIESTA CHE HA SCONVOLTO IL MONTE
Andrea Greco per La Repubblica

La prima vittima dello scandalo Monte dei Paschi è il capo della comunicazione dell'istituto, David Rossi. Dopo mesi di lavoro forsennato, affrontati senza scomporsi, tranne il sorriso amaro che tanti gli conoscevano, ha deciso che non ne valeva la pena. Proprio adesso che quasi un anno di inchieste giudiziarie stavano accertando le responsabilità della passata gestione (non le sue, poiché non indagato).

Adesso che i 4 miliardi di prestito statale avevano messo in sicurezza la pericolante «più antica banca del mondo». Adesso che la nuova gestione di Alessandro Profumo e Fabrizio Viola iniziava a pensare al domani, e dopo averlo imbarcato, diversamente dai cento manager estromessi nel repulisti del 2012. Cinquantadue anni ma una faccia da ragazzino, la strada professionale di Rossi si è svolta tutta sul filo della notizia.

Dopo la laurea in storia dell'arte e l'esperienza di giornalista nel quotidiano della sua città, Il Cittadino di Siena. Poi mettendo su un'agenzia di comunicazione, che lavorava con il sindaco di Siena, Pierluigi Piccini. Con un contratto fatto avere da Giuseppe Mussari, si dice, «perché in città già allora l'era tutta una cricca».

Quindi Rossi entra nell'orbita del "babbo Monte". Sempre sotto il segno di Mussari, che nel 2001 lo assunse come suo assistente, approdato alla presidenza della fondazione Monte dei Paschi. Come spin doctor dell'avvocato calabrese - buon comunicatore di suo - Rossi ha salito tutti i gradini del potere bancario senese. In seno al primo azionista fino al 2006, poi salendo sulla tolda della banca, quando Mussari ne divenne presidente.

Lì era ancora, nonostante il profondo ricambio di vertice compiuto da metà 2012. Rossi si era calato nella nuova avventura senza risparmio, ottenendo la fiducia del nuovo
management (fatto per niente scontato in casi simili). E la sua ineffabilità caratteriale non pareva scalfita neanche dal rimordere delle ispezioni, e delle indagini: a metà 2011 le prime segnalazioni all'autorità giudiziaria da parte della vigilanza creditizia, poi in un crescendo terribile le inchieste dei pm di Milano, Siena, Roma, Salerno, con oltre venti indagati e pesanti ipotesi di reato in concorso, dalla truffa all'omessa vigilanza, dall'infedeltà patrimoniale alla bancarotta.

Dieci giorni fa Rossi era stato anche lambito dalle indagini. Fu oggetto di una perquisizione in ufficio, mentre i suoi ex capi Mussari e Antonio Vigni (ex direttore generale della banca) venivano riperquisiti in casa. Gli inquirenti chiarirono, allora, che a differenza dei due ex banchieri Rossi non era indagato, ma «persona informata dei fatti». In procura, a quanto si apprende, qualcuno pensava che il capo della comunicazione potesse aver fatto da tramite tra Mussari e Vigni, per aiutarli a comunicare e concordare versioni in una fase dell'inchiesta in cui erano sotto torchio da parte dei tre pm senesi.

«Sta' attento, che ora ho il telefono sotto controllo - diceva con sarcasmo ai colleghi dopo l'episodio - se dici qualche frescaccia poi viene fuori». Lui ne diceva poche: piuttosto stava zitto. Era incredulo davanti alle malefatte dei suoi vecchi capi, man mano che emergevano dalle indagini e sui giornali.

Prima la protervia di Mussari nell'acquisizione di Antonveneta, in un disegno di potere personale e locale che consentì al Santander di venderla a Mps in cambio di quasi 10 miliardi cash, con tre di plusvalenza istantanea. Poi le pastette tra banca e fondazione per finanziare quell'operazione troppo grande per loro, e l'emissione del bond Fresh, travestito da capitale in spregio alle raccomandazioni e ai controlli (elusi) della Banca d'Italia.

Poi i magheggi per non far emergere le perdite frutto di turbofinanza, e le ristrutturazioni dei derivati Santorini e Alexandria spostando al futuro le passività; con tanto di accordi segreti in cassaforte, venuti a galla solo un anno dopo l'uscita di Vigni.

E su tutto le scorrerie della «banda del 5%», che faceva le creste sulle compravendite dell'area finanza Mps e per le quali Gianluca Baldassarri è in carcere da qualche giorno. Incredulo, Rossi, ma sempre composto. Sempre meno, però, tanto che negli ultimi giorni si rincorrevano le voci si di una sua possibile sostituzione nell'area comunicazione della banca

 

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