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Marco Molendini per Dagospia
CONCERTO DI CAETANO VELOSO A ROMA
Quest'anno ho visto tre concerti speciali: Bob Dylan, Brad Mehldau e Caetano Veloso ieri sera. E il concerto di Caetano è stato ancora più speciale, perché viveva su un sottinteso sentimentale: essere un addio. Non alla musica, alla carriera, ai concerti, ma ai viaggi come quello che sta facendo in queste settimane in Europa e che lo ha portato alla Cavea dell'Auditorium. «Chi vorrà potrà venire ad ascoltarmi nella mia terra, a Bahia» ha detto tempo fa in un’intervista. Estremo, come qualche volta capita a questo «soft brazilian singer» (come si autodefinisce in una sua canzone).
CONCERTO DI CAETANO VELOSO A ROMA
La serata era ancor più speciale per me, perchè conosco Caetano da mezzo secolo, perché ho ancora nitido il ricordo della sua rivelazione sul palco (al teatro Sistina ospite di Gal Costa: una folgorazione), perché negli anni siamo diventati amici, perché ogni occasione di vederlo e ascoltarlo è stata sempre emozionante (a Roma, Londra, Parigi, Salvador, Rio), perchè è uno degli artisti che più ho ascoltato e a cui sono più affezionato.
CONCERTO DI CAETANO VELOSO A ROMA
Pesa il rammarico di non poterlo più vedere sul palco (a meno di andare a Bahia) e dispiace, tanto più dopo un concerto come quello di ieri sera. Una severa lezione per tante orride baracconate che di questi tempi fanno il pieno di un pubblico incapace di scegliere. È la lezione di un uomo di 81 anni (nessuna preoccupazione, la mamma di Caetano, Dona Cano, se ne è andata a 105 anni) capace di una leggerezza senza tempo.
CONCERTO DI CAETANO VELOSO A ROMA
Quando ha finito il concerto, due ore dopo, sorride rilassato e un po’ ansioso: deve alzarsi presto e andare a vedere la Cappella Sistina, incontrare il papa, poi ripartire. Non ha più l’età. Al massimo, ammette, potrebbe accettare qualche occasione speciale (e si riapre una finestra sul possibile). Quello che doveva fare l’ha fatto. In mezzo secolo, da artista un po’ pigro ha sedotto il pubblico italiano, lo ha conquistato passo dopo passo da quel suo primo show nel 1976 in un Sistina mezzo vuoto, alla festa di popolo al Circo Massimo con la settimana Bahia de todos os sambas, con i tanti ritorni anno dopo anno, con la festa per Fellini a Rimini, con i dischi sempre più convincenti, le canzoni cantate in italiano pescando nei ricordi dell’adolescenza.
La sua musica, a distanza di tanti anni, resta “alegre e jovem”, come dice una delle canzoni che canta in una notte calda che sembra Bahia, ma soprattutto è una esibizione di eleganza, misura, lucidità, freschezza, folgorante come il debutto di tanti anni fa al Sistina. Sul palco è circondato da cinque ragazzi, tutti insieme hanno poco più di cento anni, canta suona, balla (non quanto il suo quasi coetaneo Mick Jagger), negli occhi ha la meraviglia di chi non si accontenta.
La morbida apertura del concerto, Avarandado, porta indietro al suo debutto su disco. Un ritmo acido e leggero come una piuma accarezza la sua voce, è il filo che tiene insieme canzoni nuove, quelle tratte dal suo ultimo album Meu Coco, e ripassi storici e clamorosi per bellezza come Sampa, per felicità come Desde que o samba è o samba, per il vigore tutto rotondo come Odara, per la melodia come Menino do Rio o Itapua, per ispirazione come Cajuina, per spontaneità come Reconvexo, canzone nata per caso proprio a Roma. Un giorno, passeggiando per strada, mi chiese: come mai le macchine sono così sporche? Risposi con una spiegazione che a Roma tutti conoscono: «E' sabbia Caetano, il vento l’ha portata dal Sahara, la pioggia l’ha depositata a terra». Rimase in silenzio, tornò in albergo e scrisse questa canzone.
Il finale di uno dei suoi migliori concerti,
è un abbraccio totale, pubblico della Cavea in piedi, i ragazzi della banda che macinano il ritmo micidiale di Luz de Tieta, un coro che nessuno canta mentre tutti pensano: «Caetà, nun ce lassà».
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