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Foto da www.villagevoice.com
DAGOREPORT
Cosa resta dell'eredità di Basquiat? I graffiti della sua arte, il nido d'amore con Alexis Adler nell'East Village, la febbre creativa di quel luogo dell'anima che fu lo Studio 54?
Niente di tutto questo.
Oggi dell'artista newyorchese morto per overdose a 27 anni resta solo una festa-collage di svalvolati che per una notte si illudono di ricostruire la scena artistica della Grande Mela di 30 anni fa, al Cheryl di Williamsburg.
Dedicata a un tempo in cui Manhattan ancora esisteva e Brooklyn non era neanche sulla mappa. Quando i graffiti erano "cool", l'eroina costava poco e il crack era per gli altri.
Quando "le ragazze volevano solo divertirsi", la "gente ballava sui soffitti" e George Michael era etero.
Trucchi improbabili e parrucche sgargianti. Maschere stravolte dallo sperimentalismo etilico e nasi che simulano sniffate su piste di coca immaginarie. Vecchi feticci e giovani posticci.
Mondato dal suo vitalismo artistico, è rimasto di Basquiat solo il demone autodistruttivo che una truppa di sciamannati senza arte, né parte prova a dipingere tra schizzi di colori fluo e sgocciolature di divertentismo. Loffio e retorico, come chi, 30 anni dopo, si ostina a pensare che bastino un po' di coca e un paio di calze a rete per fare subito anni Ottanta.
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