CAFONALINO - (B)ARA PACIS APPARECCHIATA PER LA PRESENTAZIONE DI “RAZZA STRACCIONA” DI SERGIO RIZZO - CISNETTO FA OUTING: “NON È CHE LA CASTA SIAMO ANCHE NOI?” - GIAM-FIERO MUGHINI NE HA PER TUTTI: “RENZI È SIMPATICO MA SE VINCE MUORE IL PD. CALCI IN CULO AL “NUOTATORE” GRILLO PER LE BATTUTE SU VERONESI. L’AUTONOMIA DELLA SICILIA? CHE I SICILIANI SE LA PRENDANO E SE LA PAGHINO”…

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Francesco Persili per Dagospia

«Quanto ha preso il nuotatore?» Giampiero Mughini appena arriva alla (B)ara Pacis scambia commenti in libertà sulle elezioni siciliane con la sua «bibbia», Sergio Rizzo reduce da un tour televisivo con promozione incorporata del suo libro (Razza stracciona) iniziato la mattina ad Agorà e proseguito a Sky Tg24 Pomeriggio.

Si capisce fin dalle prime battute tra lo scrittore «nato in Sicilia» e l'inviato del Corriere della Sera sul boom del Movimento Cinque Stelle e dintorni («La traversata di Grillo? L'ex sindaco di Taranto, Cito è stato il primo ad attraversare lo Stretto a nuoto...», ricorda Rizzo) che anche la scaletta della quarta puntata di Ara Pacis - il format televisivo legato alla manifestazione RomaInConTra - sarà rivoluzionata per risultati del voto siciliano, «barometro dell'antropologia italiana», secondo il Grande Mughini che sembra tornato ai tempi della rivista Giovane critica, «un titolo che era una spada e una insegna», come ricorda nel suo libro "Addio, gran secolo dei nostri vent'anni".

Il bardo di città, eroi e bad girls del Novecento bisbiglia nell'orecchio di Pierluigi Battista a telecamere spente («dibatti su Twitter come un leone, ma come fai? Io sto tutto il giorno a compilare F-24...») ghigna, provoca («Sono favorevole all'autonomia della Sicilia: se la prendano, e se la paghino»), non le manda a dire a Grillo («L'ho sentito ribattezzare Umberto Veronesi, Cancronesi: per una cosa del genere, i calci in culo li devi prendere tu») e, poi, trova consolazione nella vittoria di Crocetta («una brava persona»).

Intanto Cisnetto ci infligge un fervorino sul tema «Non è che la casta siamo anche noi?» frulla società civile e classe politica («due facce della stessa medaglia»), i talk «rissosi, supponenti e involuti» e l'economia in nero, i falsi invalidi e i moralisti senza morale, le caste e la disobbedienza civica di massa prima di sfociare nella conclusione da ovvio dei popoli: «l'antipolitica è il miglior alibi per la cattiva politica. Se un cittadino su due in Sicilia non è andato a votare, qualcosa vorrà pur dire...». Sfiducia, disorientamento, l'anticipo di ciò che accadrà in primavera?

Sul palco, intanto, tra i loro libri in bella vista e le bottiglie di acqua minerale si misura il residuo fisso di anticonformismo degli ospiti. Davide Giacalone sancisce, dati alla mano, il disfacimento del Pdl e del Pd, ribadisce il rischio-default economico e politico della Regione Sicilia e davanti all'exploit del M5S guarda lontano: «temo che questo scenario si ripeta a livello nazionale».

Oggi in Sicilia, domani in Italia. L'analisi di Pierluigi Battista finisce, invece, in una previsione da Cassandra sulle elezioni politiche in cui vincerà «chi perderà di meno, come in Grecia». Allegria. «La situazione sarà tale che ci sarà un nuovo governo tecnico oppure si andrà a votare dopo più di un anno». Se Atene piange, insomma,Roma non riderà.

Si aspetta Sergio Rizzo, che dopo 38 anni dalla Razza Padrona di Scalfari e Turani - bussola letteraria fondamentale per orientarsi all'interno di quella borghesia di Stato che andava alla conquista della finanza nel bel mezzo dell'Armageddon tra la Fiat degli Agnelli e il mondo che faceva capo ad Eugenio Cefis - ha scritto Razza Stracciona in cui fa l'inventario di uomini e storie di un'Italia che ha perso la rotta, ma anche il giornalista di cui Adriano Celentano non ricordava il nome durante Rock Economy non va più in là del ritornello (molto lento e poco rock): «è un errore grave sottovalutare Beppe Grillo».

Anche se, poi, nella discussione si continua a preferire la caricatura del comico nuotatore iconizzato come una via di mezzo tra Mao e Guglielmo Giannini anziché indagare le ragioni del successo di un gruppo di ragazzi sconosciuti che con un modello (virtuale e reale) di partecipazione dal basso, una spesa di 25 mila euro per la campagna elettorale ed una serie di comizi-show di Grillo sono diventati il movimento (e non già il partito ché anche gli attivisti Cinque Stelle nel loro piccolo vademecum si incazzano) più votato dell'Isola.

Se nel suo «romanzo horror in forma di inchiesta», il censore, insieme a Gian Antonio Stella, della Casta e delle cricche italiche, mette in fila «servizi da terzo mondo e sprechi da sceicchi arabi», gli imprenditori «bravissimi a criticare uno Stato spendaccione ma inchiodati alla greppia dei sussidi» e un Paese« che tassa le rendite speculative al 12,5 per cento e l'economia reale al 48 per cento ma non crede più nel lavoro», nel talk cisnettiano, Rizzo ricorda come gli imprenditori italiani siano «ultimi in Europa per contributi alla cultura».

Capitani coraggiosi quando si tratta di «investire nelle squadre di calcio, finanziare le campagne elettorali delle mogli», se non scendere direttamente in campo. All'epoca del primo Parlamento italiano, come racconta Ferdinando Petruccelli della Gattina ne I Moribondi del palazzo Carignano, c'erano otto commercianti e industriali. Adesso si è perso il conto, i parlamentari imprenditori sono diventati un'alluvione (116 fra Camera e Senato, dopo le elezioni del 2008). «Ma il Parlamento italiano soffre sempre più di mediocracy», rincara l'inviato del Corriere della Sera. «Solo il 62 per cento è in possesso di un titolo di laurea (nel Congresso americano è il 94%)».

La riflessione sulla classe politica «che scende sempre più di livello e trascina verso il basso anche il Paese» si intreccia così all'elogio della sobrietà che parte dal cappotto rivoltato di De Gasperi, passa dal racconto flaianeo della pera divisa a metà da Einaudi e arriva al libriccino dell'ex direttore generale dell'Eni, Donato Menichella, "Come non sono diventato ricco". Una «rampogna contro la ricchezza» che non convince Giam-Fiero Mughini che da vecchio libertario di sinistra - la più irregolare, la meno prevedibile - ricorda come non gli sia mai appartenuto «quell'atteggiamento anticonsumista che avevano certi minchioni...»

Dopo le fluorescenze vintage («Adriano Olivetti è stato lo Steve Jobs del Novecento e la sua fabbrica un luogo di creazione, intelligenza e di feticismo come la Apple») e le escandescenze di rito sui rimborsi più esosi di Europa ai partiti («Stiamo con le pezze e diamo tutti questi soldi a Scilipoti e compagnia cantante? Si chiama cialtroneria, eddai»), Mughini ricorda al regista e sceneggiatore Giovanni Veronesi, secondo cui «le persone migliori di questo Paese non si vogliono sporcare le mani», come fare politica non sia «una conferenza dei Francescani scalzi» e, poi, accetta di parlare con Dagospia del voto di bestemmia per il M5S che mette «un'altra croce» sulla Seconda Repubblica.

«È la fine di un'epoca, un periodo durato vent'anni in cui il debito pubblico è aumentato dal 90 al 126 per cento con il concorso delle due armate Brancaleone» che si sono alternate alla guida del Paese. Lo scrittore che già nel 1971 con le dimissioni dal Manifesto chiuse i conti «con gli umori più velleitari della sua generazione» prima di scrivere nel 1987, Compagni addio, il pamphlet con cui prese congedo dalla sinistra, si iscrive al partito dell'astensione.

«Alle ultime elezioni ho votato il mio amico Veltroni, che andava a perdere con eleganza, prima ancora avevo scelto la Lista Bonino per la presenza di Luca Coscioni. Questa volta mi asterrò». Ma in tempo di crisi non è un atto di diserzione? «Assolutamente no, non diserto dai miei doveri di cittadino, pago le tasse fino all'ultimo centesimo».

Non si dice sorpreso da Beppe Grillo «che continuerà con le battute e i vaffa anche se, quando si tratta di amministrare una città o governare un Paese, serve altro». Serve Bersani o Renzi? «Renzi è più simpatico, più scapestrato ma il Pd non potrebbe sopportare la sua vittoria. Se vince lui, il Partito democratico crolla». Rischio scissione con la nascita di un nuovo partito di sinistra? «Perché uno? Almeno quattro».

 

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