CAFONALINO - TUTTI A TEATRO. TANTO IL CINEMA IN ITALIA CHI LO FA PIÙ? - DA SCAMARCIO A FAVINO, DA VALERIA GOLINO A VALENTINA CERVI, DA MARCO MULLER A NICCOLÒ AMMANITI PER VEDERE LA PRIMA DI “STABAT MATER” , MONOLOGO IN NAPOLETANO STRETTISSIMO INTERPRETATO MAGISTRALMEMTE DA FABRIZIA SACCHI E DIRETTO DA LUCA GUADAGNINO, IL REGISTA DI “IO SONO L’AMORE”….

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Marco Giusti per Dagospia

Tutti a teatro. Tanto il cinema in Italia chi lo fa più? Quindi tutti a teatro, anzi nei teatrini più scomodi di Trastevere a studiare. Una platea di nomi celebri del cinema, da Riccardo Scamarcio a Marco Muller, da Pier Francesco Favino a Claudio Santamaria, da Valeria Golino a Valentina Cervi, da Niccolò Ammaniti a Lorenza Indovina riuniti al Teatro Spazio Uno di Trastevere per vedere la prima di "Stabat Mater" , monologo in napoletano strettissimo interpretato da Fabrizia Sacchi e diretto da Luca Guadagnino, il regista di "Io sono l'amore", e da Stella Savino.

Il monologo, scritto da Antonio Tarantino nel 1993, che portò alla ribalta un autore allora del tutto sconosciuto facendoli vincere il premio Riccione, venne per la prima volta portato in scena l'anno dopo per la regia di Cherif e l'interpretazione strepitosa di Piera Degli Esposti. A vent'anni di distanza è stato asciugato e riadattato in napoletano per le corde di Fabrizia Sacchi, già pupilla di Leo De Berandinis, che ne fa qualcosa di altrettanto memorabile.

L'idea di Tarantino era la rilettura dello "Stabat Mater" di Pergolesi, cioè il lamento funebre della madre di Cristo davanti alla Croce. (Stabat Mater dolorosa/ La madre addolorata stava/Iuxta crucem lacrimosa/in lacrime presso la Croce/Dum pendébat Filius./su cui era crocefisso il Figlio./Cuius ánimam gementém/E il suo animo afflitto/Contristám et dolente/Inconsolabile e dolente/Pertransivit gladius/ Era trafitto da una spada).

Solo che la sua Maria è una ragazza madre di origini meridionali che vive e batte nella periferia putrida di una Torino già multietnica e molto politicizzata dei primi anni '90, scontrandosi con il pappone-amante Giovanni che non verrà mai all'appuntamento, la moglie cicciona di questo, i marocchini che vorrebbero farsela, i professori del figlio e gli assistenti sociali piemontesi che lo hanno in cura, il prete, il commissario che lo ha arrestato.

Sì perché, e questo era più forte venti o trenta anni fa, il figlio è finito in galera a causa della politica, anzi, ma si scoprirà solo nella scena finale, è morto e questo rende definitivo il canto funebre, lo "Stabat Mater Dolorosa" della madre di fronte al cadavere del figlio. Fabrizia Sacchi, nel monologo, interpreta tutti i personaggi della storia nei diversi dialetti e, soprattutto, nelle loro commistioni, non svelandoci subito l'ambientazione della storia e la sua essenza, che vengono fuori piano piano.

Frutto di una ricerca teatrale italiana sulla lingua, sulla recitazione, su un paese in evoluzione, che oggi ci appare ingiustamente lontana, lo "Stabat Mater" di Tarantino è anche una grande occasione per un'attrice come Fabrizia Sacchi di potersi esprimere al di là dei ruoli, sempre uguali, che le offrono cinema e fiction. Grandi applausi. Al Teatro Spazio Uno di Roma fino a domenica.

 

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