Alessio Lana per il Corriere della Sera
capo plaza
A 22 anni Capo Plaza è in testa a tutte le classifiche. E fa l'en plein. Impossibile aprire una qualsiasi piattaforma di streaming senza trovarsi di fronte alla copertina del suo nuovo album, intitolato semplicemente Plaza : le sedici tracce sono comparse tutte nelle prime venti posizioni e una, Allenamento #4 , ha raggiunto l'ottavo piazzamento nelle uscite globali di Spotify.
Una conferma nella carriera di questo trapper nato come Luca D'Orso nel 1998 e arrivato a conquistare l'Italia e l'Europa. Uno dei pochi che può vantare un ampio seguito straniero e collaborazioni internazionali come il tedesco Luciano e gli statunitensi Gunna, Lil Tjay e A Boogie wit da Hoodie. Nel brano «Track1» canta «Son partito dal niente che avevo nada».
Da dove parte Capo Plaza?
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«Da Salerno, la mia città natale, come un ragazzo che sognava di fare rap. A Pastena, il mio quartiere, devo tanto. È la classica storia urbana. Si andava al parchetto, si saltava la scuola per ascoltare la musica e le battle di freestyle (ma non partecipavo). Eravamo i tipici ragazzi di strada, si immagini cosa potevamo fare e anch' io ho avuto qualche problema con la legge, poca cosa.
Ero minorenne, ho avuto vari diverbi, un processo e ho pagato: l'unica volta che mi hanno preso me l'hanno fatta pagare per tutte quelle in cui ero sfuggito. Ero in una situazione in cui bisognava farsi valere fin da quando eri piccolo. Era difficile, certo, ma grazie a schiaffi dati e presi mi sono formato e sono cresciuto».
Quando ha scoperto il rap?
«A 8 anni ho sentito Kanie West per caso in tv ed è diventato subito una delle mie prime influenze, poi sono passato a Lil Wayne, alla Cash money records, a tutta quella trafila di rapper vistosi, sempre acchittati , con tante macchine, donne... Da lì ho iniziato a studiare i testi, volevo capire bene cosa dicevano.
A 12-13 anni ho cacciato il mio primo pezzo e verso i 14 anni ho conosciuto Ava e Mojo che sono ancora oggi i miei produttori. Più tardi sono andato a Milano, nel 2018 è arrivato il mio primo album in studio, 20 , e nel 2019 ho fatto un tour europeo che ha segnato il sold out da Berlino a Londra passando per Parigi e Barcellona».
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Lei è tifoso del Milan e il video di «Allenamento #4» è girato a San Siro. Che effetto le ha fatto?
«Mi sento come Shevchenko, che viene da un'altra città ma ha conquistato Milano diventandone la bandiera e senza mai rinnegare le sue radici. Girare a San Siro è stato strano, era tutto vuoto... è stata una bella soddisfazione, da mettere nel curriculum».
Come l'hanno presa i suoi? «Mah, in realtà niente di che. Mia madre mi ha detto di essere contenta per me. Le interessa solo che il figlio stia bene, come ogni mamma deve fare e com' è giusto che sia».
Il suo «Allenamento».
«Ho studiato tanto musica. Stavo tutto il giorno in strada e facevo esperienze: ascoltavo la gente, il problema della signora sul pullman, le cose che diceva il signore alla fermata. Poi la sera mi chiudevo in studio e cercavo di raccontarle. Adesso però sono andato oltre. Dovevo farlo. Questo disco è solo il secondo e non è neanche il 20 per cento della mia carriera».
Spesso nei suoi testi va sul sentimentale ma ci sono anche versi duri contro le forze dell'ordine.
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«Quelli sono tosti ma giusti. Io dico basta con gli abusi e il razzismo, vaff... a chi punta una pistola solamente perché mio fratello è di un colore diverso. Se non le dico io queste cose, chi le dice. Educo i miei fan, soprattutto i giovanissimi, a dire basta».
Però canta anche versi sessisti.
«Credo che in Italia questa cultura non venga capita. Non vogliamo trattare male la donna, c'è solo uno slang che non viene compreso. Il mio pubblico sa che alcune parole fanno parte del mondo dell'hip-hop e non le vede come un modo per attaccare le donne».
Sanremo è ormai una delle mete del rap: anche per lei?
«Penso di essere uno dei pochi rapper che segue Sanremo. Mi piace, davvero. Ci andrei come ospite per far capire agli italiani la musica che faccio ma non parteciperei mai alla gara. Quello non è un palco adatto a me e ai colleghi che competono dico solamente "andateci, tanto di cappello" ma io proprio no.
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