Esce oggi “La guerra dei trent’anni” (Marsilio) e l’autore, Filippo Facci, anticipa per noi una sintesi e i temi principali del libro. Una ricostruzione di “mani pulite”, inchiesta che terremotò l’Italia
FILIPPO FACCI - LA GUERRA DEI TRENT ANNI
Poco più di trent' anni fa - il 5 aprile 1992 - ci furono le «elezioni terremoto» che secondo molti fecero da detonatore alla «rivoluzione» di Mani pulite, e secondo altri - sempre meno - originarono una Seconda Repubblica.
A ripensarci, però, non fu una scossa così violenta, anche se i risultati furono clamorosi: la Dc scese al minimo storico (dal 34,3 al 29,7 per cento) con perdite eccezionali nel Nord-Est (-12 per cento nelle province di Verona e Padova; -18 in quella di Vicenza) e il Psi non cavalcò nessuna onda lunga, ma flesse dal 14,3 al 13,6 per cento: il quadripartito che aveva sostenuto il precedente governo Andreotti (Dc-Psi-Psdi-Pli) mantenne una risicata maggioranza, e il nuovo Pds erede del Pci, che aveva appena cambiato nome dopo la caduta del muro di Berlino, si attestò sul 16,6 per cento con la nuova Rifondazione comunista che non superò il 5,6 per cento.
FILIPPO FACCI
Ma un discreto successo ottenne La Rete, il movimento di Leoluca Orlando che puntava tutto sulla retorica antimafia (dodici deputati e tre senatori) e poi la vera trionfatrice: la Lega Nord di Umberto Bossi, personaggio che andava a letto alle 8 del mattino e si svegliava alle 6 di sera: dallo 0,5 per cento balzò all'8,7 nazionale (55 deputati e 25 senatori) e colonizzò il settentrione con il 25,1 per cento in Lombardia, 19,4 in Piemonte, 18,9 nel Veneto, 15,5 in Liguria e 10,6 in Emilia-Romagna.
paolo brosio davanti al palazzo di giustizia di milano durante tangentopoli 2
Bettino Craxi raccolse 94mila preferenze, Bossi 240mila. Il partito «razzista» passò dalle salsicce di Pontida (dove nel Medioevo fu costituita la Lega lombarda dei comuni contro Barbarossa) a una truppa di parlamentari dapprima guidati in «tour» per conoscere la Capitale e distoglierli dalle tentazioni della grande meretrice. Il responsabile amministrativo, Alessandro Patelli, organizzò un pulmino per i deputati e mise in piedi un convitto dove dimoravano tutti gli eletti che la sera facevano gruppo e formazione. Anche la sola uscita in un ristorante della Capitale era considerato potenzialmente corruttivo e invischiante.
ELEZIONI TERREMOTO
antonio di pietro magistrato
A titolare «Elezioni terremoto» fu soprattutto il Corriere della Sera, capofila di una stampa che in generale aprì un fuoco di fila contro la maggioranza. La sera dei risultati ci fu una prima telerissa (sensazionale, per l'epoca) fra il direttore del Tg1 Bruno Vespa e il segretario repubblicano Giorgio La Malfa. L'antipolitica montava soprattutto in tv. Su Raitre c'era Gad Lerner con il suo Profondo Nord poi diventato Milano, Italia, su Italia Uno c'era Gianfranco Funari con Mezzogiorno italiano, intanto Michele Santoro faceva sempre grandissimi ascolti: anche se nelle settimane preelettorali il direttore generale della Rai gli chiuse la trasmissione per quindici giorni: da immaginarsi che cosa ne venne fuori. Il 13 gennaio di quell'anno era anche partita l'era dei telegiornali Fininvest, che sostenevano l'inchiesta mani pulite più della Rai: Silvio Berlusconi, che ormai aveva ottenuto tutte le concessioni che gli servivano, non ebbe niente da eccepire.
bettino craxi mario chiesa
Una settimana prima, il 30 marzo, l'indagato socialista aveva «confessato» al «gabbiotto», una costruzione prefabbricata infelicemente piazzata nel cortile del Palazzaccio di giustizia. C'erano settanta persone tra giornalisti, cameraman e fotografi, e si sentì tutto, perché avevano aperto una finestrella laterale: «Non chiedetemi più nulla di quelli lì, basta», disse Chiesa, «M'avete rotto i coglioni con quel nome». Il nome era quello di Vittorio «Bobo» Craxi, il cui padre era candidato alla presidenza del Consiglio.
Ancor oggi si tramanda che Chiesa avesse confessato perché Craxi il 29 febbraio lo aveva definito «mariuolo»: ma non è vero, e lo dimostra una lettera di Chiesa che il libro La guerra dei trent' anni pubblica integralmente. Chiesa, infatti, non fece mai il nome di nessun Craxi. Molte cose non sono vere: anche la favola dell'imprenditore monzese che si offrì volontario per incastrare Mario Chiesa in flagranza di reato: in realtà fu costretto a farlo - perché aveva pagato tangenti - ma dapprima non aveva intenzione di denunciare nessuno, e si ritrovò suo malgrado a fare da infiltrato, anche perché la sua Ilpi, impresa di pulizie, stava fallendo, e infatti fallirà: dovrà pure difendersi dall'accusa di bancarotta fraudolenta.
tribunale di milano mani pulite
Ancora nel 2012 raccontava: «Di Pietro era il pubblico ministero di turno, quella mattina: se non ci fosse stato lui, ma un altro, forse le cose sarebbero andate in un modo diverso». Disse pure che Di Pietro votava per il Msi. Non è neanche vero che Mario Chiesa cercò di occultare i 7 milioni della tangente nel water del suo ufficio, tirando lo sciacquone: non esiste infatti nessun atto o verbale che attesti il tentativo e in ogni caso riguardava un'altra tangente pagata dall'impresa che aveva ritinteggiato l'intero stabile, la Carobbi: a rivelarla fu lo stesso Chiesa.
tangentopoli
Non è neppure vero che l'inchiesta Mani pulite aveva atteso le elezioni del 5 aprile per trasformarsi in rivoluzionaria: aveva cominciato prima, anche senza consenso popolare. Tre giorni prima del voto il gip «unico» Italo Ghitti aveva già detto che «il nostro obiettivo è colpire un sistema, non le singole persone».
Sulla funzione anomala del gip «unico» si è già espresso definitivamente Guido Salvini, magistrato insospettabile che passò quegli anni proprio all'ufficio gip: Ghitti - racconterà - accentrò indebitamente tutti filoni di quell'indagine che evitò così di confrontarsi con posizioni e scelte di una ventina di giudici. Il fascicolo di Mani pulite non era neanche un fascicolo, ma un registro che riguarderà migliaia di indagati per vicende tra loro completamente diverse, unificate solo da numero (8655/92) esteso anche a vicende per cui la competenza territoriale di Milano non esisteva.
tangenti pio ospizio trivulzio arrestato mario chiesa
Così, ancor prima del 5 aprile 1992, con o senza consenso e «dipietrismi», cominciò una nuova fase giurisprudenziale: ogni reato ipotizzato sarà inquadrato nell'affiliazione a un sistema, e la pretesa dimostrazione che l'indagato ne avesse fatto parte basterà a giustificare il protrarsi della galera preventiva. Chi parlava e denunciava altri, invece, poteva essere liberato perché ritenuto inaffidabile agli occhi dello stesso sistema, come i pentiti con la mafia.
il pool di mani pulite
Quello che è vero - a proposito di mafia - è che la vera rivoluzione giudiziaria in realtà nacque al Sud, o avrebbe dovuto farlo. La prima vera bastonata alla vecchia Repubblica, infatti, coincise con la prima vera bastonata alla mafia, piaccia o meno l'accostamento: e sarà il preludio, per Cosa nostra, dei suoi ultimi e terribili colpi di coda; parliamo dell'omicidio di Salvo Lima e del dossier «mafia-appalti» che- è acclarato - fu la vera causa delle stragi che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in una terra dove Mani pulite preferì non mettere becco nonostante un sistema che vedeva sedute al «tavolino» politica, imprenditoria e criminalità organizzata. Lo strumento chiave di Mani pulite - il carcere preventivo - avrebbe fruttato ben poche confessioni, anche perché qualsiasi cella, se l'indagato avesse aperto bocca, sarebbe stata preferibile alle pallottole mafiose che potevano attenderlo una volta scarcerato.
emilio fede tangentopoli
«Parlare», al Nord, equivaleva a uscire da un sistema; al Sud equivaleva a entrare al camposanto. L'informativa «Mafia-appalti» era già nelle mani di Giovanni Falcone il 20 febbraio 1991. Il 15 marzo Falcone disse «la mafia è entrata in borsa». Paolo Borsellino, pochi giorni prima di morire, fece in tempo a farsi dire che i soldi di Totò Riina era confluiti in una grande azienda italiana: che no, non è la Fininvest. I verbali sono nel libro.
TUTTI A SAN VITTORE
Poco più di trent' anni fa - il 5 aprile 1992 - la rivoluzione giudiziaria era appena nata. Neanche un anno dopo, la composizione del sesto raggio di San Vittore sarebbe stata la seguente:
giovanni falcone paolo borsellino
cella numero 1: Enzo Carra, portavoce della Democrazia cristiana, in compagnia di un camionista accusato di associazione mafiosa;
cella numero 2: Salvatore Ligresti, imprenditore;
cella numero 3: Francesco Paolo Mattioli, manager della Fiat;
cella numero 4: Clelio Darida, democristiano, ex ministro della Giustizia, in compagnia di Claudio Restelli, ex segretario del ministro della Giustizia Claudio Martelli;
cella numero 5: Claudio Dini, socialista, ex presidente della Metropolitana milanese;
di pietro colombo davigo
cella numero 6: Franco Nobili, ex presidente dell'Iri (Istituto ricostruzione industriale), in compagnia di Serafino Generoso, democristiano, ex assessore regionale della Lombardia;
cella numero 7: Giorgio Casadei, ex segretario e assistente del ministro socialista Gianni De Michelis, in compagnia di Angelo Jacorossi, imprenditore;
cella numero 8: Claudio Bonfanti, ex assessore della Regione Lombardia.
Almeno sei di loro saranno prosciolti o assolti con formula piena. Poco più di due anni dopo, il 21 novembre 1994, qualcuno - una donna, come si racconta ancora nel libro - passerà a un cronista del Corriere della Sera il mandato di comparizione per Silvio Berlusconi, presidente del consiglio di stanza a Napoli per un convegno sulla criminalità.
craxi mani pulite
E spariranno cinque partiti storici: la Democrazia cristiana (nata nel 1943), il Partito socialista italiano (1892), il Partito socialdemocratico italiano (1947), il Partito repubblicano italiano (1895) e il Partito liberale italiano (1922). La cinetica dell'inchiesta spazzò via anche la vecchia legge sul finanziamento pubblico e il sistema elettorale proporzionale. Benché quei partiti, oltre a foraggiare se stessi e il Paese, forse contribuirono anche a tessere quel poco tessuto civico che avevamo.
mani pulite mani pulite