DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
Marco Bracconi per la Repubblica
Aveva 85 anni. Antifreudiano, amatissimo dai seguaci della sua (controversa) terapia collettiva, fu amico di Bertinotti e ispirò a Bellocchio i film più discussi Nel profondo, a sinistra. Tanto nel profondo e tanto a sinistra da farsi eretico per definizione per la società psicoanalitica e per quella politica, ammesso che nel fagiolismo tale distinzione abbia un senso. Non era forse lui a sostenere che «chiunque fosse sano di mente non poteva che essere di sinistra?».
I conti con il resto della psicoanalisi il professor Massimo Fagioli, scomparso ieri a 85 anni, li aveva fatti negli anni Settanta, proclamando «fregnacce» le teorie freudiane, facendo della sua “teoria della nascita” coniugata alla lettura dei sogni il caposaldo delle sua ricerca e inaugurando quelle “analisi collettive” che i seguaci adoravano ma per i detrattori erano setta, titanismo e manipolazione.
In ogni caso, e questo è un fatto, nelle stanze di via Roma Libera, rione Trastevere, dove li curava (o arringava), quei seguaci erano parecchi e tutti molto motivati: «Chiamateci pure fagiolini ma smettetela con le calunnie, non siamo una setta», era il mantra ripetuto all’infinito.
Odiato a dismisura e amato oltre la sua misura Fagioli lo è stato sempre, ma eretico di massa lo è diventato incrociando il cinema e facendosi ispiratore del Marco Bellocchio de Il Diavolo in corpo e co-sceneggiatore di La Condanna, tra entusiasmi dei cinephile (non tutti) e accuse di plagio e apologia dello stupro.
Seguiranno fulmini e saette contro Amore e psiche, la libreria-circolo da lui fondata a Roma, e fari accesi sul suo instancabile attivismo editoriale, tra la casa editrice L’Asino d’oro e Left, rivista di cui fu certamente guru e secondo alcuni manovratore occulto (gli stessi alcuni che quando arrivò lui se ne andarono loro). Per anni, sulla rivista della sinistra che vuole essere sinistra, Fagioli firma una sua rubrica: T. Trasformazioni.
I testi che arrivano in redazione sono intoccabili, fosse anche una virgola. Così di quella pubblicazione e del mondo che le gira attorno lo psicanalista diviene il faro e assieme l’ombra. Al punto che nel resto del giornale ci si autocensurava evitando di scrivere frasi come “spirito dei tempi”, per evitare di urtare il suo radicale anticlericalismo. Così radicale – l’anticlericalismo – da andare a prendersi gli applausi ai congressi di Pannella o da ingaggiar tenzoni politically incorrect con il cattolico Nichi Vendola, ché cattolici, omosessuali e comunisti non si può mica essere.
Psicoanalisi, marxismo, omosessualità: di eresia in eresia la sovraesposizione tutta politica arriva infine con Fausto Bertinotti, di cui è stato sicuramente amico, probabilmente consigliere e forse ispiratore di svolte. Leggenda o mezza verità, resta il fatto che è Fagioli ad intestarsi lo strappo di Rifondazione Comunista con i centri sociali più violenti; complotto o calunnia, si disse che sempre lui, il grande eretico, volesse mettere le mani su Liberazione a suon di analitiche sentenze sull’allora direttore: «Sansonetti? Un eterno ragazzino del ’68, praticamente un malato di mente».
È l’inizio del 2009. La rottura con Fausto è inevitabile, una delle tante di una vita professionale, politica e intellettuale segnata dalle cesure e dal gioco delle antitesi con i sistemi culturali dominanti, anche se tutto giocato sulla propria dominanza. Una lite, quella con Bertinotti, che si porterà dietro lacrime e psicodrammi fin dentro lo studio di Trastevere, dove negli anni avevano trovato riparo un bel po’ di comunisti in cerca di identità.
Egualitario o populista ante-litteram («i freudiani sono criminali che curano solo chi può spendere diecimila euro l’anno»), qualche anno dopo lo ritroveremo al Teatro Eliseo in una iniziativa di Left per Bersani premier: teatro stracolmo, ricorda chi organizzò l’evento, soprattutto perché accorsero in massa proprio i fagiolini.
La stagione d’oro, va detto, era già declinata. Ma per Massimo Fagioli, guru di un agguerrito popolo dentro al composito popolo della sinistra, evidentemente non era iniziata la crisi della rappresentanza. I funerali sabato alle 10, in via Roma Libera dove continuava ad esercitare. Collettivi, come le sue analisi.
2. ALLE SUE SEDUTE IL FASCINO E LA BOLGIA
Ferdinando Camon per la Stampa
Consenzienti o dissenzienti che si fosse col suo modo di far l' analisi, Massimo Fagioli resta comunque, per chi l' ha visto all' opera, inobliabile. Io ero dissenziente. Tra l' altro, quando l' ho visto, più volte, a Roma, facevo l' analisi con Cesare Musatti, che era stato presidente degli psicanalisti freudiani. Fagioli incarnava l' opposto. Ma c' era tanta passione intorno a lui, tanta venerazione, tanto misticismo, che era impossibile non restarne turbati.
Gli studenti (ma c' erano anche operai, sbandati, fuggiaschi da casa, drogati) riempivano l' aula con un' ora o due di anticipo. Si accucciavano dappertutto, sotto i banchi, dietro, a destra, a sinistra. Ma specialmente nello spazio che lui doveva attraversare per andare dalla porta d' ingresso fino alla cattedra: ammassavano sul pavimento libri, zaini, borse, quaderni, in modo che non ci fosse neanche un centimetro libero, e per poggiare il piede il professore dovesse per forza strusciare sui fogli, sulle carte, sugli oggetti che gli studenti ritiravano subito dopo che lui li aveva toccati, come una reliquia toccata dal santo.
Tutti noi, che abbiamo esperienza di analisi, avevamo rispetto, stima, ammirazione per il nostro analista. Quando morì Ernst Bernhard, Fellini si fiondò a salutarlo in taxi: «Mio vero, unico padre!». Ma lì c' era qualcosa di più: c' era adorazione.
Una fetta romana e metropolitana della giovane generazione, che rifiutava la famiglia e la scuola, l' ordine e la ragione, e dunque anche l' analisi freudiana con i suoi orari e i suoi balzelli economici, si offriva obbediente perinde ac cadaver a questo traditore della scuola freudiana, che faceva analisi a tutti coloro che volevano venire, ascoltava ed esaminava seduta stante i sogni che gli venivan raccontati, e non si faceva dare un soldo da nessuno.
Tutti lo chiamavano «Massimo» strascicando molto la a: Màààssimo, così. Lui girava la faccia, con quello sguardo piangente. Ascoltava. Venivan fuori sogni di lesbiche, di omosessuali, di frigide, di evasori, di ladri Le frigide le disprezzava, gli omosessuali non li tollerava.
Una volta un ragazzo sui trent' anni, elegante, con una vocetta timida, esitante, femminea, capì che tutti si domandavano se era un omosessuale, e confessò spontaneamente: «Sì, sono un omosessuale». «Esca immediatamente», ordinò Massimo, indicando la porta. Il ragazzo raccolse pigramente le sue cose, e pigramente uscì.
La scena mi parve di una violenza mostruosa. Ma i seguaci di Massimo dovevano conoscere questa sua avversione, e non si scomposero per niente. Probabilmente, era già successa. Un medico espose un sogno in cui gli pareva di aver rubato all' ospedale, venne fuori che andava via prima dell' orario previsto, e Massimo gli ordinò: «Restituisca i soldi». L' analisi di massa è una bolgia in cui non si può chiedere: «Chi sono io?», ma soltanto: «Chi siamo noi?». A me questa domanda non interessava. Ho smesso subito.
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