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Gino Castaldo per “la Repubblica”
Quando Ornette Coleman, scomparso ieri a New York a 85 anni, apparve sulla scena col suo sax di plastica sembrava un provocatore nato, uno di quegli agitatori destinati a essere o rapidamente cancellati dalla scena oppure a lasciare un segno indelebile.
Ma nella sua visione c’era del genio e, superando montagne di scetticismo, numerosi tentativi di ridicolizzazione (celebre quello di Gillespie che si parò davanti al gruppo a braccia conserte dicendo: “state facendo sul serio?”) e critiche destabilizzanti, Ornette Coleman ha stabilito uno di quei punti di non ritorno che decidono la storia della musica, è diventato uno dei grandi pensatori del jazz, ha costretto tutti a fare, quantomeno, i conti con la sua musica, piacesse o no, anche grazie al fatto che il sax di plastica, col suo beffardo suono non metallico, fu sostituito presto da un normale, classico sassofono.
La sua “voce” strumentale aveva in sé una lucida e sghemba poesia, strana e ammaliante allo stesso tempo, abbastanza per irritare i tradizionalisti, abbastanza per attrarre gli esploratori del nuovo che alla fine degli anni Cinquanta stavano cercando di ridefinire i confini del jazz. Eravamo in piena maturazione del be bop o meglio dell’hard bop che era diventato una sorta di imperante mainstream, ma alcuni esperti e illuminati jazzmen dell’epoca stavano mostrando segni di inquietudine.
Già nel 1958 Miles aveva inciso Kind of blue e Sonny Rollins la sua Freedom suite , John Coltrane stava pigiando l’acceleratore della sua travolgente evoluzione, Charlie Mingus rivoltava gli stilemi classici con esuberanza e malizia trasgressiva. In questo fermento Ornette arrivò come il grande rivelatore, inventando un titolo che avrebbe fatto epoca: Free jazz , due parole accostate con evidente intenzione di tellurico e programmatico manifesto, un disco ancora oggi oscuro e meraviglioso, non a caso illustrato in copertina con un dipinto di Pollock, stabilendo nuove connessioni tra astrattismi musicali e figurativi.
Free jazz fu registrato nel dicembre del 1960, poco prima di Natale, strutturato con un doppio quartetto a cui era stato chiesto di esprimere alla lettera quella che il titolo enunciava, una improvvisazione collettiva, senza pattern prestabiliti, un flusso ritmico su cui i solisti potevano muoversi con una libertà che nessuno aveva mai sperimentato fino a quel momento. Fu pubblicato poco tempo dopo e da quel momento il jazz non è stato più lo stesso.
In realtà la sua lunga e provocante onda Coleman l’aveva già lanciata nei dischi precedenti, assoluti gioielli del nuovo jazz, per lo più registrati in quartetto con Charlie Haden, Don Cherry e Billi Higgins, un ensemble perfetto, un gruppo che lavorava in perfetta sintonia con le idee del leader, soprattutto in The shape of jazz to come e This is our music (anche questi titoli decisamente espliciti).
Da quel momento Coleman diventò un emblema, una pietra di paragone, continuando a esplorare i suoi mondi paralleli con rigore e tenacia. Tra i dischi più belli realizzati negli anni Sessanta vanno citati i due live al Golden Circle, dischi in cui mostra forse il suo più struggente lato poetico, e anche l’altra geniale follia di Chappaqua Suite , un disco doppio con un altro straordinario flusso strumentale immaginato come colonna sonora del film Chappaqua di Conrad Rooks, talmente intenso e complesso da scoraggiare il regista che decise di chiedere a Ravi Shankar una colonna sonora più “ragionevole” sostenendo che quella di Coleman avrebbe distolto troppo gli spettatori dal film.
La complessità era il suo preferito nutrimento, messa spesso al servizio di progetti lontani da quelli più strettamente jazzistici, vedi soprattutto la sua opera Skies of America del 1972, opera che ha avuto anche una magnifica rappresentazione all’anfiteatro romano di Verona nel 1987, oppure le sue successive opere in chiave funk jazz, oppure, secondo l’ennesima delle sue teorizzazioni, in chiave “harmolodica”. E’ scomparso a Manhattan, all’età di 85 anni, figlio prediletto del Novecento e delle sue possenti rivoluzioni artistiche.
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