alberto franceschini brigate rosse

“ALBERTO FRANCESCHINI ERA UN UOMO SCHIACCIATO DALLA CONSAPEVOLEZZA DI CIÒ CHE AVEVA DISTRUTTO” – LO STORICO GIANNI OLIVA SUL CO-FONDATORE DELLE BRIGATE ROSSE, MORTO A 78 ANNI: “ERANO BLASFEMI I RICHIAMI DI FRANCESCHINI ALLA RESISTENZA TRADITA COME RETROTERRA MORALE DEL TERRORISMO E ALLA LOTTA DEGLI UMILI CONTRO I PREPOTENTI: IN NOME DEL PROLETARIATO I BRIGATISTI HANNO UCCISO SOPRATTUTTO I PROLETARI (CARABINIERI, POLIZIOTTI, OPERAI). SU UNA COSA, PERÒ,  AVEVA RAGIONE, QUANDO DISSE ‘ABBIAMO FATTO CIÒ CHE TANTI, NEI CORTEI, URLAVANO CHE SI DOVESSE FARE’. HA MESSO IL DITO NELLA PIAGA DEI CONTI NON FATTI CON GLI ANNI DI PIOMBO E DI TRITOLO…

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Estratto dell’articolo di Gianni Oliva per “La Stampa”

 

Alberto Franceschini

Ho conosciuto Alberto Franceschini qualche anno fa, durante un dibattito organizzato da una grande libreria di Ivrea: un uomo schiacciato dalla consapevolezza di ciò che aveva distrutto, attorno a sé e dentro sé stesso.

 

Molte delle cose dette nel suo intervento erano da rigettare senza indulgenza, a cominciare dal richiamo alla Resistenza tradita come retroterra morale del terrorismo: i partigiani hanno sparato in tempo di guerra, nell'Italia occupata dai nazisti, in un Paese dove da vent'anni non si poteva dire o scrivere nulla di diverso dalle verità di regime; i terroristi hanno sparato in tempo di pace, in un'Italia libera, arrogandosi il diritto di decidere chi poteva vivere e chi doveva morire in un Paese dove la Costituzione garantiva a chiunque il diritto di scrivere, dire, manifestare, votare come voleva.

 

alberto franceschini

Altrettanto blasfemo era il richiamo fatto da Franceschini alla lotta degli umili contro i prepotenti: in nome del proletariato i brigatisti hanno ucciso soprattutto i proletari (carabinieri, poliziotti, guardie carcerarie, operai come Guido Rossa). Su una cosa, però, Franceschini aveva ragione. A un certo punto disse: «Noi siamo solo quelli che hanno fatto ciò che tanti, nei cortei, urlavano che si dovesse fare». Forse inconsapevolmente, con quelle parole metteva il dito nella piaga dei conti non fatti con gli anni di piombo e di tritolo.

 

Pinerolo 1974 - arresto di alberto Franceschini - renato Curcio al volante

Io sono nato nel 1952, nella stagione del terrorismo ero prima studente, poi insegnante. L'odore del tritolo non l'ho sentito, perché vivevo a Torino dove l'estremismo di destra era poca cosa, ma ho sentito quello del piombo, perché la città ha avuto venti morti ammazzati in dieci anni e tanti "gambizzati" costretti per una vita a camminare col bastone. In mezzo, c'ero anch'io.

 

Non tra quelli che sparavano, non tra quelli che lanciavano molotov e biglie di ferro, ma tra quelli che nei cortei dell'ultrasinistra scandivano «Fascista, basco nero, il tuo posto è il cimitero», «Se vedi un punto nero spara a vista, o è un carabiniere o è un fascista».

 

gianni oliva

Come tanti altri, più o meno estremisti senza una vera ragione, e non diversi da quelli che, sulla sponda opposta, gridavano «Contro il comunismo, la gioventù si scaglia / Boia chi molla è il grido di battaglia». In quegli anni era molto più facile essere radicalizzati che moderati, un insidioso "conformismo dell'anticonformismo" condizionava i comportamenti, le mode, i linguaggi, i pensieri. Perché non sono andato oltre? Mi piacerebbe dire che l'ho fatto per scelta ragionata.

 

Alberto Franceschini

Invece credo di averlo fatto solo per paura: paura fisica dello scontro, paura delle conseguenze, paura di perdere le mie garanzie. In fondo, la paura è una grande protezione, assai più delle interdizioni intellettuali e morali.

 

I terroristi come Alberto Franceschini, invece, non hanno avuto la protezione della paura. Chi pensa ai brigatisti come personaggi pervenuti alla scelta delle armi dopo un percorso lacerante di confronti e di analisi, sbaglia: i meccanismi sono stati drammaticamente banali.

 

Per commettere il male non è necessario essere cattivi: basta convincersi che per ottenere un bene superiore il male è necessario, e ci si ritrova alla deriva. Quando l'ideologia diventa la misura di tutte le cose, in suo nome ogni azione diventa potenzialmente lecita: l'ideologia è il miglior farmaco per anestetizzare la morale (o il miglior veleno per corromperla). Come cantava Gaber, «Non fa male credere. Fa molto male credere male».

 

alberto franceschini renato curcio

[…]  Ma se vogliamo trarre una lezione da quella stagione torbida, dobbiamo ricostruire il semplicismo di quegli anni, la facilità con cui si è varcata la soglia tra la protesta e il crimine. Troppe indulgenze, troppi ammiccamenti, troppe parole in libertà. Indulgere significa spingere alla deriva coloro che non sono protetti dalla paura e coloro (troppi) che cadono vittime dei loro crimini.

 

Indulgenti siamo stati in tanti, più o meno inconsapevoli, chi aveva responsabilità alte e chi non ne aveva. Sono le maglie sfrangiate della coscienza collettiva a permettere il male e a perdere coloro che sono troppo deboli per proteggersi con il timore e troppo spregiudicati per frenarsi con la morale.

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