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E’ UFFIZIALE: PURE IN ITALIA CI E' SCAPPATA LA MANO CON I POKEMON - “AVVISTATO AGLI UFFIZI POKEMON GO”: IL TWEET DEL MINISTRO FRANCESCHINI SDOGANA LA MANIA DEL MOMENTO, MA C’E’ CHI SI RIBELLA - LA DIRETTA FACEBOOK DEI MOSTRICIATTOLI DA PIAZZA DEL POPOLO SBANCA: UN MILIONE DI VISUALIZZAZIONI

1.POKEMON GO GENERAZIONI CONTRO NEL FACEBOOK LIVE DEI RECORD

Marino Niola per “la Repubblica

 

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Centocinquantuno creature fantastiche si aggirano per il pianeta. Ed è subito Pokémon mania. La caccia ai mostriciattoli Nintendo ha riempito le piazze e le strade di una folla straripante di videoplayer con il naso incollato allo smartphone, che si muoveva strategicamente tra spazio materiale e spazio virtuale alla ricerca di esseri dai nomi nippo-borgesiani, come Pikachu e Mew Two.

 

POKEMON GOPOKEMON GO

Risultato, una inedita irruzione della finzione ludica nella vita quotidiana. Un vero e proprio cortocircuito tra il reale e il digitale che ha coinvolto il popolo dei giocherelloni e lo ha lanciato sulle piste di Pokémon Go. Sembravano tanti rabdomanti 2.0 in cerca di nuove sorgenti di divertimento collettivo. Repubblica lo ha raccontato in diretta su Facebook da Piazza del Popolo a Roma: la prima caccia ai mostriciattoli organizzata nella Capitale, il Facebook Live più seguito di sempre.

 

Un milione di visualizzazioni, due milioni e 250mila persone raggiunte e ben 9000 commenti. Come dire che i cacciatori erano tanti, ma ancora di più erano quelli affacciati allo schermo per godersi lo spettacolo e trafiggere i giocatori con battute sferzanti. Qualche volta impietose. Spesso fuori misura.

 

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È nato un botta e risposta social che ha visto affrontarsi due partiti l’un contro l’altro armati. Apocalittici e integrati. Ipercritici e iperludici. I primi hanno accusato i secondi di infantilismo, di piattezza neuronale, di fannulloneria. Qualcuno li ha paragonati ad una mandria di zombie usciti da The Walking Dead. Molti li hanno esortati ad andare a lavorare, altri a studiare, qualcuno a fare sesso.

 

E qualche altro li ha mandati dove non si può dire. In tanti non hanno resistito alla tentazione del sermoncino politico, accusando i giocatori di scendere in piazza a caccia di stupidi folletti invece che in difesa dei propri diritti. E qualcuno ha trasformato Pokémon Go in un insultante Pokémongo. Linguisticamente feroce quanto politicamente scorretto. Ma si sa che la rete scatena sempre estri creativi, sia i migliori sia i peggiori.

 

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A queste voci censorie, paternalistiche e irridenti si sono aggiunte quelle di psicologi, fustigatori di costumi giovanili e nostalgici della battaglia navale. Che hanno gridato alla patologia generazionale, azzardando analisi sociologiche quantomeno premature per un gioco che è uscito da sole tre settimane. E arrivando a pronosticare epidemie di inguaribile ludopatia. Insomma una geremiade che ha assunto spesso i toni del rosico generazionale.

 

Ma gli altri, per lo più millennials molto alfabetizzati e retoricamente agguerriti, hanno risposto colpo su colpo, senza porgere l’altra guancia. Ma anche senza trascendere. Dando anzi una lezione di fair play. Con vere pillole di saggezza digitale, tipo «i tempi cambiano, dovreste farlo anche voi». O con un polemico «provate a interessarvi a quel che piace ai vostri figli e a chiedervi perché».

 

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Risposte che vanno dritto al cuore del problema. Cioè l’incomprensione della natura ludica del fenomeno. E della sua viralità, che non ha nulla a che fare con l’infantilismo o con l’appiattimento delle menti che, secondo un’opinione molto diffusa, sarebbe provocato dai videogiochi. Mentre i giochi di una volta, chissà perché, sarebbero sinonimo di intelligenza.

 

 

In realtà il gioco, meccanico o elettronico, di legno o a cristalli liquidi, è sempre un fattore di socialità. Serve a costruire ipotesi di realtà usando materiali fantastici. Una regola pienamente confermata da questo instant ritual. Che si è rivelato un fattore di contatto fisico, di legame solidale. Col risultato di unire i cacciatori, di trasformarli in un “Noi” in carne e ossa. Facendo uscire gli street gamers da quell’isolamento virtuale che gli viene spesso imputato. E trasformando la web community in una comunità reale. Se è vero che giocando si impara queste sono prove generali di futuro.

 

2.FUORI RATTATA DAGLI UFFIZI

Tomaso Montanari per “la Repubblica

 

«Avvistato agli Uffizi Pokemongo». Non è una delle demenziali domande del quiz che a giorni attende i 19.500 candidati al concorsone per funzionari dei Beni culturali, ma un tweet del ministero di Dario Franceschini.

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Un tweet che ha sdoganato la caccia alle creature immaginarie giapponesi, che stanno sciamando nei corridoi di Vasari, nelle sale di Pitti, in quelle dell’Archeologico di Napoli e in mille altri luoghi monumentali.

 

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Il direttore degli Uffizi ha salutato con pragmatismo la linea ministeriale: sempre meglio l’invasione virtuale dei Pokemon di quella concretissima delle zecche, debellata a fatica negli scorsi mesi. Difficile dargli torto, ma forse non è inappropriato prendere la cosa sul serio. Negli Stati Uniti alcuni musei (il MoMa di New York in testa) si sono buttati nella pokemon-mania, ma siti come il Museo dell’Olocausto a Washington e il Memoriale di Ground Zero hanno trovato terribilmente inappropriato l’assalto delle bestiole.

 

Ora, il fatto che i registi di questa caccia planetaria non si siano fatti alcuno scrupolo di invadere luoghi come questi ultimi, o come il cimitero monumentale di Arlington, può dare un’utile chiave di riflessione. I dubbi, infatti, non sorgono certo dalla “sacralità” dei musei o dell’arte (che, semplicemente, non esiste), né dall’accostamento alto-basso o da un sospetto verso la dimensione del gioco: ma semmai dal fatto che Pokemon Go è una spregiudicata operazione commerciale (2,1 miliardi di fatturato nel 2015).

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E i musei dovrebbero essere tra i pochi spazi in cui non siamo clienti, consumatori, pedine: ma cittadini liberi. Liberi perfino di pensare e di vedere. E se invece vogliamo rassegnarci al fatto che non esistano luoghi liberi dal marketing, è giusto che per girare un documentario agli Uffizi si paghi, mentre Pokemon Go può sfruttarli gratis per un’autopromozione planetaria?

 

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Su un piano più alto ci si può chiedere se tutto questo non rischi (per usare le profetiche parole di Italo Calvino nella lezione americana sulla visibilità, 1985) di farci «perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini». Calvino invocava una «pedagogia delle immagini»: e ho seri dubbi sul fatto che correre attraverso un museo con la faccia nello smartphone possa farne parte.

 

Poi, certo, può succedere che un ragazzo entri agli Uffizi per la prima volta in vita sua grazie a Pokemon Go, e che inseguendo Rattata e Bulbasaur si scontri (speriamo non materialmente) con Cimabue, Giotto o Raffaello.

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