barbara alberti

BARBARA ALBERTI, SPLENDIDA 80ENNE - "HO AVUTO PER ANNI IL TERRORE DELLA VECCHIAIA CHE MI PORTAVA A CORTEGGIARE L’IDEA DEL SUICIDIO. POI HO COMINCIATO A INVECCHIARE DAVVERO E HO COMPRESO UNA GRANDE, TRANQUILLIZZANTE VERITÀ: SOSTANZIALMENTE AVEVO FATTO PER TUTTA LA VITA QUELLO CHE MI PAREVA" – "SONO CRESCIUTA NEL DOPOGUERRA: BASTAVA AVERE QUALCOSA IN TAVOLA, E NON TEMERE PIÙ CHE I VICINI FOSSERO DELLE SPIE" - "MI SONO INNAMORATA TUTTE LE VOLTE CHE DOVEVO. È ANCHE CAPITATO CHE ABBIA AMATO UOMINI CHE MI HANNO INGANNATO, ANCHE CON BUGIE GROSSOLANE, MA SONO STATA LORO GRATA UGUALMENTE PER LE…"

Estratto dell'articolo di Andrea Greco per “Oggi”

 

barbara alberti foto di bacco (2)

A dispetto dei suoi imminenti 80 anni, fatico a tenere il passo di Barbara Alberti mentre la seguo in quel labirinto che è la sua casa romana: c’è una rampa di scale, poi un’altra, una stanza colma di libri e infine si sale in soffitta affrontando una curva a “U” in salita, nella quale tocca aggrapparsi al corrimano per mantenere l’aderenza sui gradini che si assottigliano.  [...]

 

Che cosa ha capito che da giovane le sfuggiva?

«Ho avuto per anni il terrore della vecchiaia, una paura infinita che mi portava a corteggiare l’idea del suicidio. Intendiamoci, per onestà devo ammettere che non lo avrei mai fatto: mancava la volontà, ma c’era l’idea, così quando ho compiuto 30 anni ho spostato la data della dipartita a 35. Raggiunti i 35 la linea rossa l’ho posticipata a 40...».

 

Poi?

barbara alberti 1

«Poi ho cominciato a invecchiare davvero e ho compreso una grande, tranquillizzante verità: sostanzialmente avevo fatto per tutta la vita quello che mi pareva. Avevo fatto l’impresa, come i cavalieri della tavola rotonda». [...]

 

La tesi e antitesi sono a posto. C’è pure la sintesi?

«Eccola: oggi in me ci sono due sentimenti contrastanti, fortissimi. Il primo è quello di essere presente fin che posso, di intervenire sul reale, come voglio io. Il secondo è un senso di irresponsabilità infinita. Non voglio sapere nulla. Non voglio occuparmi dei piccoli problemi, non voglio occuparmi delle tasse, sapere come si paga la Tari, controllare le bollette. Per fortuna per tutto questo c’è il mio compagno. Io voglio solo occuparmi del cane».

barbara alberti foto di bacco

 

Il cane è un sollecito e vanitoso golden retriever, con un sorriso canino stampato sul muso. È arrivato in affido a casa Alberti dopo il divorzio del figlio, e proprio per questo (mi sembra di aver capito) si chiama “lucky”, fortunato. È da lui che riparte il discorso.

«Vede Lucky quanto è sereno, felice? Lui non sa che dovrà morire e quindi vive nell’eternità. Noi invece l’idea della morte ce la portiamo dietro tutta la vita, per quello siamo così attratti dalle idee che ci promettono l’immortalità». [...]

[...]

 

barbara alberti belve 3

«Mi sono innamorata tutte le volte che dovevo. È anche capitato che abbia amato uomini che mi hanno ingannato, anche con bugie grossolane, ma sono stata loro grata ugualmente per le sensazioni che ho provato, per quel coraggio che ho trovato. Ieri ho visto in tv una vecchina che si lamentava di essere stata sedotta e ingannata da un ventottenne che sembrava un bronzo di Riace. Va bene, dico io, che il lestofante sia assicurato alla giustizia, però anche la vecchina, che per due anni ha volato altissimo, dovrebbe sapere che alcune cose hanno un prezzo».

barbara alberti.

 

Lei è cresciuta in un paesino umbro, lontana da tutto, è stato difficile?

«Ma si figuri. Sono cresciuta a Umbertide con due nonni toscani anarchici, spiritosissimi, capaci di ridere su qualsiasi cosa. Mio padre, che lavorava col tabacco, era affettuoso e divertente. Nel secondo dopoguerra c’era un clima meraviglioso: erano sopravvissuti a una catastrofe e per essere felici bastava avere il piatto pieno in tavola, e non doversi preoccupare che i vicini fossero delle spie.

 

barbara alberti

Oggi invece troppi sono lamentosi e accusatori: non si accettano le frustrazioni, si attribuisce agli altri la colpa della propria pochezza, si sterilizzano le parole e si persegue il linguaggio della tolleranza, che tradisce il fatto che non tolleriamo più la nostra condizione. [...]».

barbara alberti