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Fabio Poletti per “la Stampa”
Paola Menaglia, vicepresidente dell’Associazione Famiglie Separate Cristiane, nell’Instrumentum Laboris, il Sinodo dei vescovi sulla famiglia apre alle coppie divorziate. Da quanto aspettavate questo momento?
«Da anni, da troppi anni. Il dibattito tra di noi va avanti da almeno 10 anni. Ma solo negli ultimi 2 o 3 questa discussione ha iniziato ad avere una certa risonanza anche sui media. La spinta è data dal numero di famiglie che vivono la separazione o il divorzio. Come cristiani crediamo al valore indissolubile del matrimonio. Ma quando non ci sono più le condizioni rimane sempre il nostro essere cristiani».
Con questa apertura anche ai divorziati che si sono risposati sarà possibile accedere al sacramento della comunione...
«Io non ho ancora letto il documento del Sinodo. È una bozza che dovrà essere discussa nell’assise di ottobre sulla famiglia. Spero che i principi cardine siano confermati anche nel dibattito».
Non era mai successo che si parlasse di integrazione nella Chiesa dei divorziati risposati in questo modo: «Nessuno deve sentirsi rifiutato od escluso»...
«È vero, ma in questi anni un’apertura virtualmente c’era già stata. Tra i sacerdoti e i laici impegnati il principio dell’accoglienza nella fede c’era sempre stato».
Vuol dire che facevate comunque la comunione?
Paola Menaglia - FAMIGLIE SEPARATE CRISTIANE
«Il vero problema è come veniva vissuta questa situazione. A causa dell’ignoranza di alcuni sacerdoti ci sono stati casi di autoesclusione. Conosco persone che hanno vissuto con sofferenza per 10 o 15 anni. Ho un’amica che si era sposata molto giovane. Poi il matrimonio è finito. Si è risposata e per tantissimi anni ha vissuto da sola la sua fede. Andava in chiesa partecipava alla messa ma senza fare la Comunione. Solo negli ultimi anni, avvicinandosi a noi, si è riavvicinata al sacramento».
Però le indicazioni della Chiesa erano chiare su questo punto...
«Ma è altrettanto chiaro il Vangelo. La condivisione della fede è basata sull’accoglienza, sulla sensibilità, sul non giudizio. Quello che è successo in questi anni è che chi ha continuato nel sacramento della comunione, lo ha fatto da solo. Ma c’è chi non ce la fa. C’è chi prega e basta e si sente escluso».
Magari perché non ha trovato il sacerdote comprensivo...
«Capire completamente il messaggio di Gesù basato sull’accoglienza e sulla non esclusione non è prerogativa di tutti i sacerdoti».
Il Sinodo dei vescovi sembra averlo capito.
«Sono separata e divorziata. So perfettamente qual è il valore del matrimonio per un cristiano. Ma per niente al mondo rinuncerei ad essere in comunione con Gesù. Credere è una grazia. Il Sinodo chiede che ci sia un “itinerario di riconciliazione con la fede”. È giusto, ma essere diversi non vuol dire essere peggiori. Non è una scelta facile, ma l’accoglienza senza giudicare è la base del Vangelo».
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