DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
Paolo Colonnello per “la Stampa”
Alle 18 lo si vede avanzare dietro le colonne di rifornimento del distributore Shell davanti alla palestra di Brembate Sopra, l’asfalto è bagnato, piove, c’è nevischio. Mancano 20 giorni a Natale e Yara Gambirasio è uscita di casa da poco per recarsi in palestra. Cinque minuti dopo lo si vede ripassare davanti alla sede della Banca cooperativa Agricola di via Rampinelli, 150 metri dall’abitazione della ragazzina; alle 18,19, è di nuovo davanti alla Shell.
Alle 18,35 lo inquadrano che incrocia la sede di una ditta in una via laterale della palestra di Brembate mentre sembra volersi allontanare dal paese ma 20 secondi dopo, eccolo di nuovo: ha fatto il giro della rotatoria e sta tornando verso il centro. Alle 18,47 passa ancora dal distributore di benzina davanti alla palestra e così alle 18,47. E’ un anima in pena quella sera del 26 novembre 2010 Massimo quella sera del 26 novembre 2010 Massimo Bossetti.
Alla guida del suo furgone cassonato Iveco, inconfondibile tra migliaia di altri, percorre avanti e indietro il quadrilatero di 500 metri quadri in cui si consuma la tragedia di Yara, 13 anni, scomparsa quella sera e ritrovata 3 mesi dopo in un campo incolto a meno di 10 minuti da casa, Chignolo d’Isola.
I fotogrammi delle varie telecamere raccolti dal Ros ricostruiscono un film muto ma angosciante che il colonnello Michele Lorusso, ora comandante del Ros di Torino, l’uomo che per quattro anni ha dato la caccia all’assassino di Yara, riesce a visualizzare pur senza far vedere una sola immagine. Seduto al banco dei testimoni, il colonnello incrocia ogni tanto lo sguardo di Bossetti che lo osserva di sbieco da destra, seduto sulla panca dei difensori e non si scompone quasi mai.
Tranne quando Lorusso ricorda le fasi del suo arresto il 16 giugno di un anno fa e spiega che «Bossetti, appena vide arrivare i carabinieri in borghese che erano entrati nel cantiere di Seriate con la scusa di un controllo sugli extracomunitari, prova a fuggire. Lo si vede chiaramente in un filmato che abbiamo realizzato per evitare future contestazioni…». In effetti, le immagini mostrano il carpentiere che alla vista dei militari sembra accennare una fuga e gli stessi investigatori si allarmano: «Sta scappando!».
Adesso, nell’aula della Corte d’Assise di Bergamo, Bossetti per la prima volta perde la calma, scuote la testa con energia, «Non è vero», i suoi avvocati si oppongono, alzano la voce. Un’inchiesta senza precedenti nella storia investigativa: 120 mila celle telefoniche controllate, 24 mila persone sottoposte a esame del Dna,
500 donne selezionate come possibili madri di «Ignoto Uno», 20mila furgoni Iveco confrontati con gli ingegneri dell’azienda, 2mila fotografati per selezionare infine, tra cinque possibili candidati, proprio quello di Bossetti: proprio quello che si vede passare e ripassare davanti alla palestra dove Yara, una volta uscita, farà perdere le sue tracce e che adesso inquieta il muratore di Mapello, mentre l’abbronzatura intensa, piano piano trascolora e lo lascia impallidire.
C’è anche un testimone che ricorda bene il furgone di Bossetti e la manovra spericolata che fece verso le 18,40 per posizionarsi davanti all’uscita del centro sportivo. Un’altra invece lo vide un mese prima nel parcheggio della palestra insieme a Yara. Ma soprattutto, c’è il fatto che Bossetti al primo interrogatorio reso in carcere, mentì su quella sera, sostenendo di essere stato in cantiere tutto il pomeriggio e, dopo un breve passaggio da Brembate, di essere tornato a casa per le 19, come sempre. Testimoni e fotogrammi raccontano il contrario. Ed è solo l’inizio.
bossetti moglieBOSSETTI ARRESTATO
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