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1."VILLE LUMIÈRE ADDIO" I RICCHI PRIMI AD ANDARSENE
Leonardo Martinelli per “la Stampa”
Ventotto volte «bonjour» in tre minuti: è quanto si poteva ascoltare ieri pomeriggio (che in tempi normali sarebbe stato un sabato di shopping) curiosando nei corridoi del palazzo Louis Vuitton sugli Champs-Elysées. Quei saluti educati erano pronunciati da uno stuolo di commessi forzatamente nullafacenti, alle prese con uno dei rari clienti potenziali. La megaboutique appariva semivuota, nonostante fosse piena dei soliti prodotti luccicanti del marchio, i più ambiti dai ricchi di tutto il mondo. Il problema è che a Parigi di americani, russi, arabi del Golfo, giapponesi e brasiliani non c' è più neanche l' ombra.
A una settimana dagli attentati, resta qualche frotta di cinesi e di asiatici non nipponici. E il solito popolo delle compagnie aeree low cost, in arrivo dall' Europa del Sud e da quella dell' Est. Ma anche loro sono in forte calo. Se dal palazzo di Louis Vuitton si scende lungo gli Champs, ecco il classico mercatino di Natale, destinazione cheap: è aperto, luccicante e tristemente vuoto, per di più sotto una pioggia gelida. Natacha vende stampi da forno per dolci. Ed è disperata: «Non riesco a incassare neppure la quota necessaria per affittare il mio stand, 600 euro al giorno. La gente non se la sente di comprare cose superflue in questo momento».
La fuga dei ricchi Le preoccupazioni maggiori, in ogni caso, riguardano lo shopping d' alta gamma (il Printemps, uno dei grandi magazzini più quotati, è già a meno 30% di vendite rispetto a una settimana fa). E ancora di più si teme per il business dei «palaces», gli alberghi di ultralusso della capitale francese. «Gli hotel più penalizzati dalla paura sono proprio quelli di livello alto, che dipendono da una certa clientela internazionale», sottolinea Jean-Marc Palhon, presidente della società Extendam, che ha investito in un' ottantina di alberghi in tutta la Francia.
Il Bristol è uno dei palaces, a due passi dall' Eliseo (quando era presidente, lì si profilava di continuo Nicolas Sarkozy a mangiare il suo piatto preferito, vero inno ai «nouveaux riches» di tutto il mondo: maccaroni al tartufo, foie gras e carciofi, con una spolverata di parmigiano ben stagionato). Ieri l' entrata era controllata dalla polizia e nella hall vagava solo qualche ricca vecchietta francese un po' spaesata. Didier Le Calvez, alla guida del Bristol, presiede anche il settore degli hotel di prestigio dell' Umih, l' associazione francese degli albergatori.
«Hanno iniziato ad annullare delle prenotazioni già il sabato mattina dopo la serata degli attentati - sottolinea -. Il mese di novembre a Parigi per tutti gli hotel si chiuderà probabilmente con un 50% in meno di fatturato. E si andrà avanti così almeno due o tre mesi».
abdelhamid abaaoud mente delle stragi di parigi
Va molto peggio che ai tempi degli assalti in gennaio. Allora le entrate degli alberghi di Parigi si erano ridotte tra il 7 e l' 8% nei giorni successivi (contro -21% il sabato dopo gli attentati del 13 novembre e -28,5% la domenica). Dopo l' 11 gennaio l' effetto negativo si era esaurito in due settimane. Mentre a una di distanza dagli ultimi eccidi, gli alberghi stimano un giro d' affari più che dimezzato (sarebbe partita la corsa alle tariffe da saldo) e la fiducia resta minima da qui a Natale. Grazie a un' estate ottima, a fine agosto il calo era stato ridimensionato fortemente sui primi otto mesi dell' anno, appena il meno 1%. Ma questa volta, rispetto ai tempi di Charlie Hebdo, tutti si considerano obiettivi potenziali dei terroristi. Tutti hanno paura.
2. L' ESEMPIO D' ISRAELE VIVERE SOTTO LE MINACCE FIDATEVI DELLA SICUREZZA E NON CHIUDETEVI IN CASA
Maurizio Molinari per “la Stampa”
avenue des champs elysees parigi
Per l' Europa scossa dal massacro di Parigi, attraversata da paure collettive sul futuro ed alle prese con la moltiplicazione di pregiudizi e sospetti nella vita quotidiana può servire riflettere sul caso israeliano.
Negli ultimi 22 anni 1554 cittadini israeliani sono stati uccisi da atti di terrorismo in ondate successive di attentati con bombe, autobombe, kamikaze, sparatorie e accoltellamenti in luoghi pubblici ma nello stesso periodo la popolazione è cresciuta da 5,2 a 8,2 milioni e il pil nazionale è balzato da 65,93 a 304,2 miliardi di dollari.
Per comprendere come sia possibile vivere e progredire a dispetto di una minaccia costante nei confronti della sicurezza personale e collettiva bisogna ascoltare Ofer, piccolo imprenditore di Gerusalemme con quattro figli, quando dice: «Se mi svegliassi ogni giorno pensando che mi vogliono uccidere non vivrei più, penso invece che lo Stato mi protegge, e dedico le mie risorse a lavorare, alla mia famiglia».
È un approccio che spiega perché le strade più colpite dagli attacchi dell' Intifada dei coltelli - da Pisgat Zeev ad Armon Anaziv - sono affollate come prima.
Piccoli negozi, uffici pubblici e fermate dell' autobus sono popolate da cittadini come Yaakov, elettricista di 42 anni, secondo il quale «il rischio di attentati in Israele non è una novità, abbiamo imparato a conviverci, protetti da soldati che consideriamo nostri figli». Il rapporto con la minaccia in agguato, il nemico dietro l' angolo, è costante.
PARIGI - EVENTO PER CELEBRARE TEL AVIV
Moshe, padre del bambino di 13 anni ferito a coltellate mentre era in bicicletta, lo dice in un corridoio dell' ospedale Hadassa: «Mi sono opposto a farlo fotografare ferito perché quegli assassini non devono vedere come lo hanno ridotto, ne trarrebbero forza per altri attacchi».
L' immagine del figlio non è mai apparsa perché giornali e tv hanno condiviso l' approccio.
E Moshe è tornato al suo impiego: «Per guardare avanti ed far arrivare mio figlio all' università». Il demografo Yoram Ettinger spiega tali comportamenti con il «fondamentale ottimismo» che distingue una «società in guerra proiettata su crescita, e fare figli, per esorcizzare un nemico immanente».
Assaf Gavron, scrittore 46enne autore de «La Collina» sulla vita negli insediamenti, parla di una società israeliana «talmente avvolta nel conflitto da viverci dentro in maniera disordinata». Ciò che accomuna gli studenti che salgono sul treno leggero di Tel Aviv - più volte colpito da attacchi - e gli automobilisti che percorrono la strada 60 in Cisgiordania - bersagliata da agguati di ogni tipo - è la consapevolezza che il pericolo di essere colpiti esiste ma non c' è alternativa a vivere, tanto più che le forze di sicurezza fanno di tutto per proteggerli.
I DANNI DEL RAZZO PALESTINESE SU YEHUD SOBBORGO DI TEL AVIV
«Posso produrre pollame perché ai terroristi ci pensa l' esercito» dice Yedidia, dell' insediamento di Efrat. «Vivere immersi in una situazione di costante rischio non è certo la situazione ideale - aggiunge Carole, madre di tre figli, uno dei quali appena arruolato - ma sappiamo che è una realtà permanente, e dobbiamo riuscire a guardare comunque in avanti».
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