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DAGOREPORT - DA IERI SERA, CON LA VITTORIA IN GERMANIA DELL’ANTI-TRUMPIANO MERZ E IL CONTENIMENTO…
Enrico Martinet per "La Stampa"
Il fascio luminoso di una pila frontale che appare e scompare come nel cerchio d'un volo impazzito è il segno di morte in una notte gelida che rotola vento, pioggia e neve a 2829 metri. Morte di Yuang Yang, cinese di 43 anni, finito alle 23 di domenica nelle ripida pietraia del Col de la Cosatrie, punto obbligato del passaggio dei corridori della corsa estrema Tor des Geants, 330 chilometri, che corona l'intera Valle d'Aosta. Quarta edizione della «corsa più dura al mondo» e primo incidente mortale. Yuang un'ora prima di salire a quel colle aveva scambiato alcune battute con altri trailer: «E' dura, ma è bella, entusiasmante».
Superato lo stretto valico si è tuffato nella ripida discesa che doveva portarlo, 800 metri più in basso, al lago du Fond, dove avrebbe potuto riposare. Aveva il pettorale 1040 e correva da Courmayeur, da 35 chilometri e 791 metri, quando ha perso l'equilibrio in quel vento carico di pioggia e neve e si è schiantato oltre il sentiero del percorso, nella pietraia. La testa contro un masso, morte istantanea. Dopo mezz'ora i soccorsi erano lì, ma non hanno potuto far altro che recuperare il corpo e ripararlo sotto una tendina. Due ore dopo hanno raggiunto il valico le guide e gli altri soccorritori che risalivano dal lago.
Gioacchino Berra, 56 anni, concorrente valdostano di Sarre, ha visto quel fascio di luce roteare e ha sentito «un rumore sordo che non dimenticherò più». Dietro di lui c'era un medico impegnato nella gara. «Si è fermato, ha subito raggiunto l'uomo nella pietraia. Il sentiero era scivoloso, in condizioni estreme per la pioggia». Gioacchino è sceso fino a Planaval, mille metri più in basso e ha detto «basta».
La sua gara è finita lì, «per scelta, non me la sentivo proprio più». Gli è rimasto in memoria quel tonfo «non preceduto neppure da un lamento». Berra dice di «essersi spaventato» già prima, quando al colle aveva superato un concorrente «come paralizzato dal freddo, non parlava». L'ipotermia ha colpito dieci corridori estremi.
Sono finiti al pronto soccorso dell'ospedale «Parini» di Aosta. Un italiano e un francese sono scivolati: spalla lussata, trauma a un'anca. Notte da dimenticare. Ma la gara non si è fermata. Resterà listata a lutto fino a quando non raggiungerà il traguardo di Courmayeur (sabato) l'ultimo concorrente. Con gli organizzatori che raccomandano mestizia, «applausi contenuti» anche quando il 4° Tor incoronerà il suo vincitore, magari con un tempo da record.
In fondo al ripido Col de la Crosatie c'è un riparo di esili pareti sbattute dal vento. E nella notte tragica si sono infilati uno dietro l'altro atleti infreddoliti, quasi gelati. Massimo Zangheri da Bucine, paese tra Arezzo e Siena, ha cercato riparo due ore prima che Yuang Yang scivolasse senza speranza nella pietraia. «Non avevo più guanti - dice -. Avevo indosso il terzo paio, tutti fradici. Non sentivo più le mani. Poi sono arrivati altri concorrenti. E un medico del Tor ci ha detto di non muoverci di lì».
Ieri mattina alcuni trailer sono usciti da quel bivacco come automi, con le gambe incapaci di correre. E molti ringraziano Silvia, la giovane donna salita fin lassù nella notte ad aspettare il marito concorrente che si è prodigata per dare coraggio a chi sognava la «corsa estrema».
2. MESSNER: UNO SPORT FOLLE, LA MONTAGNA SI VIVE SENZA CRONOMETRO
Da "La Stampa"
Reinhold Messner, «re degli Ottomila», ieri era campo 1 del «suo» Nanga Parbat, per girare un film sull'Himalaya. Della moda delle corse sempre più estreme in montagna non offre sentenze, ma commenta: «Follia».
Perché?
«Uno sport sciocco. La mia è pura constatazione. L'alpinismo e la montagna in generale è interpretata come sport o come turismo. Sui nostri sentieri così come sull'Everest. Il 90 per cento dei frequentatori della montagna è trascinato dallo sport o dal turismo».
Bisogna fermare queste corse?
«Inutile. C'è una grande polemica da qualche anno in Germania dove in una gara sono morti concorrenti per sfinimento. Queste corse, come quelle bellissime di mountain bike, non hanno nulla a che vedere con il rapporto uomo-montagna. È puro sport, non ha importanza dove si svolge, non esiste il contatto con il territorio montano».
Lei non ha mai corso sui sentieri?
«Certo e molto quando dovevo prepararmi. Ma lo facevo da solo per poter ascoltare il mio respiro, il battito del mio cuore, non avevo bisogno di misurarmi con altri cento. L'alpinismo, la montagna, non hanno bisogno di misure».
E di che cosa, allora?
«La montagna chiede silenzio, tranquillità . Vuole un passo dopo l'altro e nessun cronometro».
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