DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 - MONTAGNA DI SCHIUMA INVADE IL TIRRENO
Flavia Amabile per “La Stampa”
La scena è da film di fantascienza o da noir a sfondo ecologico-ambientale: una coltre di schiuma invade le spiagge coprendole per decine di metri nell’incredulità generale. È accaduto a Fiumicino la scorsa settimana ma anche in Campania, in Toscana e alle Cinque Terre in Liguria. Sempre la stessa scena, sempre lo stesso dubbio: che cosa provoca la schiuma?
In tutte le località dove la schiuma è apparsa di recente ci si è rivolti all’Arpa, l’agenzia per l’ambiente, per analizzare il fenomeno e si aspettano gli esiti del monitoraggio. Nel frattempo, in maniera non ufficiale, i tecnici rassicurano, si tratta di un fenomeno limitato nel tempo, dura poche ore, e anche nello spazio.
E lasciano capire che non si tratta di sostanze inquinanti ma di un fenomeno naturale dovuto alla decomposizione delle alghe. Anche i vecchi pescatori di Fiumicino non sembrano molto preoccupati e puntano il dito contro le alghe. Circola, però anche un’altra ipotesi, meno tranquillizzante: potrebbe trattarsi di saponi disciolti nel mare che vengono montati dalle onde e dalle correnti fino a diventare schiuma.
Lo scorso anno era accaduto anche a Barletta. In quel caso, al termine delle analisi, l’Arpa aveva chiarito che a provocare il fenomeno era stato il proliferare di alghe marine, che non c’era stato alcuno sversamento di sostanze inquinanti nel mare né altri agenti chimici. È molto probabile che, come stanno informalmente assicurando i tecnici, lo stesso fenomeno stia ora interessando le coste tirreniche dell’Italia.
Resta però ancora una domanda a cui si sta cercando una risposta. Il proliferare improvviso di alghe a che cosa è dovuto? Dopo l’invasione di schiuma sulle coste pugliesi e le ripetute richieste di chiarimento, l’Arpa aveva risposto in modo abbastanza generico. «Le schiume - scriveva l’agenzia - possono formarsi ed aumentare di volume in presenza di alcune sostanze tensioattive che possono essere sia di origine naturale che antropica».
Quindi di origine naturale ma anche umana, e in questo caso legate a forme di inquinamento. Secondo Attilio Rinaldi, presidente del Centro ricerche marine di Cesenatico, in prima linea nella battaglia contro la mucillagine, a provocare il proliferare di alghe può essere «un’eccessiva presenza di azoto e fosforo che arriva attraverso i fiumi», oppure le condizioni climatiche e delle acque «come in una nuova ondata di mucillagine».
2. DEROGHE PER GLI SCARICHI IN MARE
Roberto Giovannini per “La Stampa”
Mamme, attenzione: i vostri bambini quest’estate potrebbero fare il bagno in un mare impreziosito da rifiuti della produzione industriale. «Rifiuti solidi sospesi», cioè alluminio, arsenico, cromo, ferro, mercurio, piombo, nichel o solventi organici immersi in un’orrida zuppa di acqua frutto di processi industriali che potranno legalmente essere gettati a mare in quantità superiori ai limiti di legge attualmente indicati nel Testo Unico ambientale.
Per la precisione, quantitativi «proporzionati ai volumi produttivi» specificati caso per caso nelle Autorizzazioni integrate ambientali. Non necessariamente pericolosi o nocivi; ma certo, in quantità superiori a quelle indicate dalla legge, che si suppone siano quelle non pericolose.
IL DECRETO CONTESTATO
Fa discutere, e molto, il recente decreto legge 91 del ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti varato dal governo lo scorso 25 giugno. Come spesso succede, nel complicatissimo testo dell’articolato (chiamato dal ministero, per qualcuno assai ironicamente, «ambiente protetto») sembrano essere state nascoste novità legislative che secondo le associazioni ambientaliste permettono preoccupanti deroghe alle regole che limitano l’inquinamento generato da certe attività industriali.
Quella più criticata è la norma che permette alle industrie che usufruiscono di una «autorizzazione ambientale integrata», la cosiddetta Aia, di sversare in mare acque contenenti «solidi sospesi totali», ovvero le sostanze (organiche e non) frutto della produzione presenti nelle acque di scarico che non si sono sciolte.
Stiamo parlando di grandi industrie: acciaierie, centrali elettriche e a carbone, cementifici, raffinerie, stabilimenti chimici, rigassificatori, inceneritori. D’ora in poi le industrie potranno sforare i limiti stabiliti per legge e gettare in mare acque contenenti questi «rifiuti sospesi» purché le Aia rilasciate per l’esercizio prevedano di volta in volta valori limite «anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione».
LA DIFESA DEL MINISTERO
Al ministero dell’Ambiente spiegano che in realtà questi valori saranno quelli «tecnologicamente possibili», e assolutamente sicuri per la salute pubblica, peraltro definiti in base alle cosiddette «Bref» definite a livello comunitario, cioè dei documenti di reference che indicano i limiti delle «migliori tecniche disponibili». In sostanza, secondo il ministero, il limite stabilito in precedenza non era tecnicamente praticabile, e di fatto avrebbe costretto ad impedire certe attività industriali.
LE GRANDI INDUSTRIE
E questa è esattamente l’accusa che formulano gli ambientalisti: pur di non sanzionare certe attività industriali incompatibili con l’ambiente, pur di lasciare andare avanti ad ogni costo certe produzioni, il governo ha deciso di inserire questa deroga costruita su misura - si afferma - per lo stabilimento della Solvay di Rosignano (Livorno), che da anni scarica allegramente in mare violando la legge e che di recente è stato costretta a pagare una sanzione milionaria.
«SOGLIE CASO PER CASO»
Come spiega Francesco Ferrante, ex senatore del Pd e ora esponente di Green Italia, si tratta di una «norma killer, che azzera tutti i limiti di legge per i veleni industriali scaricati in mare: dall’arsenico al mercurio, dal piombo ai solventi organici, le soglie verranno stabilite caso per caso, dunque in modo discrezionale così da permettere a questo o quel impianto di inquinare impunemente l’ambiente».
Una classica «scorciatoia all’italiana»: siccome le industrie inquinanti non si adeguano alle norme, allora invece di costringerle a rispettare i limiti si preferisce risolvere il problema cancellandoli o alzandoli. Una scorciatoia che secondo molti osservatori peraltro vìola palesemente le normative europee, ed esporrà l’Italia all’ennesima procedura d’infrazione da parte dell’Europa.
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