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GIANCARLO TULLIANI E LA CASA DI MONTECARLO
Franco Bechis per “Libero Quotidiano”
Gianfranco Fini è un uomo generoso. Molto generoso. E romantico. Non è il solo uomo a riempire di attenzioni la propria donna. C'è chi manda fiori, chi compra un anellino, chi qualche altro monile, o un vestito. Lui per la sua Elisabetta Tulliani davvero non ha badato a spese. Come accadde quel 15 aprile 2013. Mancava giusto un mese al 41° compleanno della sua compagna. Fini si era da poco messo in pantofole.
La legislatura era finita da un po', si erano tenute le elezioni che avrebbero portato al governo Letta. Fini aveva provato a restare in campo con un suo partitino alleato con Monti. Non ce l'aveva fatta. Si era illuso di essere centrale: aveva provato a buttare giù Berlusconi con una spallata non riuscita, e quando a farlo fuori pensarono mercati e potenti del mondo, era convinto di essere tra i vincitori.
gianfranco fini elisabetta tulliani
Andò male, e dovette cominciare una vita da pensionato. Intendiamoci, pensionato d'oro, perché da ex presidente della Camera oltre al vitalizio che cominciava a correre, conservava ancora qualche privilegio. E da poco aveva ricevuto una maxi liquidazione per la lunga carriera politica: 260 mila euro. Ovvio che volesse festeggiare con la madre delle sue figlie, Carolina e Martina.
Così chiamò Elisabetta e disse: «Controlla un po' il tuo conto Unicredit... Ci sarà una sorpresina». E che sorpresa! Quel 15 aprile era partito dal conto di Fini presso il Banco di Napoli, agenzia interna della Camera, un bonifico di 800 mila euro. Generoso e assai risparmioso.
Poco tempo dopo Elisabetta trasferì dal conto Unicredit a un altro suo conto aperto su Mps 700 mila euro. E con parte di quei soldi comprò una casetta per il week end in montagna, a Rocca di Mezzo (l'Aquila). Bastò metà di quella somma. Con meno di 150 mila euro Elisabetta si è poi comprata anche un negozietto a Roma.
C'è anche questa piccola storia familiare fra le pieghe dell'ordinanza di sequestro preventivo alla famiglia Tulliani firmata dal gip di Roma, Simonetta D'Alessandro, portando all' iscrizione di Elisabetta nel registro degli indagati per il reato di riciclaggio e di Fini per concorso in quel reato.
GIANFRANCO FINI ED ELISABETTA TULLIANI
Piccolo squarcio nella vita benestante dell'ex presidente della Camera. Piccolo perché a casa Fini (nel comprensorio uno accanto all' altro vive il suocero Sergio Tulliani e ha casa il cognato Giancarlo), i milioni in questi anni a leggere la documentazione giudiziaria circolavano come noccioline. La sola Elisabetta è stata beneficiaria di bonifici per 2,5 milioni (compreso il generoso cadeau del compagno).
Di questi 1,7 milioni le sono arrivati indirettamente grazie a Francesco Corallo, il re delle slot machine al centro dell' inchiesta. C'è lui dietro alla famosa (e mai provata finora nei particolari) operazione casa di Montecarlo, che ha portato in cassa a Elisabetta (e anche a beneficio di Fini che vive con lei) 739 mila euro, attraverso due bonifici effettuati dal fratello: uno da 290 mila euro il 24 novembre 2015 e uno da 449 mila il 10 dicembre 2015. Più di mezzo milione le è arrivato dal padre e veniva dalla provvista Corallo, e altro mezzo milione in due tranche (la metà di una somma condivisa col fratello) da una società costituita in un paradiso fiscale (la Jayden Holding ltd) foraggiata da Corallo.
VILLINI DI GIANCARLO TULLIANI ROMA jpeg
Nell' inchiesta salta definitivamente fuori la verità sulla casa di Montecarlo: l' operazione è stata fatta non solo dal cognato - come si era scritto - ma da Elisabetta, che alla fine si godrà anche il 50% della clamorosa plusvalenza per la vendita avvenuta nel 2015.
Alla verità ci si arriva non per una riapertura della vecchia inchiesta, ma per l'inchiesta che la procura di Milano stava conducendo su Corallo. I documenti sulla casa di Montecarlo vengono trovati nella memoria di un hard disk sequestrato a Corallo a fine 2014 e in analogo sequestro compiuto a casa di Giancarlo Tulliani nel dicembre 2016.
Materiale freschissimo, che inchioda i protagonisti e rende impossibile il fatto che Fini non conoscesse l'operazione dal primo giorno: è a casa sua che arrivano i soldi alla fine.
L'inchiesta è all'inizio, e difficilmente si potrà chiudere solo sul filone del riciclaggio e dell'autoriciclaggio (di questo sono accusati Elisabetta e Giancarlo per la vendita monegasca). Perché da Corallo sono arrivati ai Tulliani più di 4 milioni in pochi anni. A che titolo?
I magistrati scrivono che è stata creata documentazione fittizia per motivare quei pagamenti, con consulenze mai fatte e che non avrebbero mai potuto fare i Tulliani. Allora perché Corallo pagò, e addirittura versò a Elisabetta e Giancarlo 2 milioni per fare diventare i due suoi soci nella holding del gioco d'azzardo (dovevano prendere il 10% per quella cifra, poi il progetto fu scartato ma loro si tennero i soldi e li investirono in case)?
I magistrati individuano un favore che vale quella cifra: il pressing fatto da uomini di Fini sull'allora direttore dei Monopoli di Stato, Giorgio Tino, per ritirare una contestazione che avrebbe messo ko le società di Corallo. Spiegano che l'imprenditore aveva rapporti amicali con Fini, non con i Tulliani, e che fu l'ex presidente della Camera a presentargli la famiglia.
Ma non ci sono prove - a parte quelle logiche - che i fatti siano collegati: i finiani fecero quel favore e l'imprenditore lo ripagò con la generosità verso i Tulliani.
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